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Bigazzi, il "divo" delle luci

E' uno dei direttori della fotografia più apprezzati nel mondo del cinema. Ha lavorato coi più grandi registi e ogni volta che firma una pellicola, riceve valanghe di premi. Intervista a Luca Bigazzi, l'autore delle luci nell'ultimo spettacolare film di Sorrentino: "Il Divo". di Enrica Anedda 

 
Luca Bigazzi è un grande direttore della fotografia. Nel corso della sua carriera ha lavorato con i più grandi registi italiani conseguendo premi e riconoscimenti. Di "Cagliari in Corto" è un vecchio amico perché ha tenuto le lezioni di fotografia durante la scuola Circus. Ha lasciato in tutti i partecipanti un ricordo meraviglioso: di grande professionista, ma soprattutto di uomo semplice e garbato, innamorato del suo lavoro...
Bigazzi in realtà non è per niente divo  e non lo è diventato neppure dopo essere stato insignito a Cannes, insieme a  Angelo Raguseo, del Prix Vulcain tecnico e artistico per l'armonia delle immagini e del suono. E' un uomo molto sensibile come si evince dalla eleganza delle sue scelte fotografiche ed  è  ben lontano da certi atteggiamenti supponenti e altezzosi tipici di tanti che grazie al cinema sono arrivati alla fama e al successo. Con la sua consueta naturalezza e cortesia ha  risposto alle domande che gli abbiamo rivolto rivelandoci alcuni segreti della sua arte.

"Il Divo" a Cannes è stato  premiato con il Gran Premio della Giuria ma anche con il prix Vulcain tecnico artistico a Luca Bigazzi e Angelo Raguseo per l’armonia della immagine e del suono. Secondo Lei perché tutto questo successo?
Perché è un gran bel film, anomalo. Tratta dell’ origine di problemi non ancora risolti che sono dunque  attuali e interessano la gente. E’ interpretato in chiave divertente, grottesca e ironica, con l’interpretazione di grandi attori. E’ girato in forma moderna e riesce a  rendere spettacolare un pezzo della nostra storia  quella del partito democristiano. Paolo è un grande regista e c’è  riuscito. E’ riuscito a parlare di cronaca senza annoiare, con leggerezza, realizzando un  grande film. Il grande successo del pubblico, oltre quello conseguito a Cannes è la conferma. E’ stata una operazione rischiosa, ma estremamente gratificante. Inizialmente  nessuno, per ragioni non solo  politiche, ma anche per paura che l’argomento non avesse un riscontro di pubblico, lo voleva produrre.

Lei ha lavorato con i più grandi registi italiani: Sorrentino, Amelio, Soldini, Comencini, Placido. C’è un regista con il quale si è trovato meglio?
Con tutti,  i film realizzati con maggior  fatica,sono quelli che mi hanno dato doppia soddisfazione.

Luca Bigazzi a Cagliari durante la lezione di fotografia a Sono tutti film che hanno avuto successo.
Diciamo che sono fortunato. Sono abbastanza oculato nello scegliere un certo tipo di cinema. Faccio solo quello che mi piace e convince. Questo mi  crea una grande  fatica ed è forse  economicamente svantaggioso.  Ma mi da una grande soddisfazione.

Lei ha un modo particolare di fare il direttore della fotografia. Non si occupa solo delle luci ma tiene anche la macchina da presa. Perché ?
Non riesco  a lavorare diversamente. Credo di essere l’unico in Italia che svolge questo doppio ruolo, delle volte davvero faticoso. In certi film è più semplice, in altri più difficile come per "Il Divo". Le riprese erano molto complesse: c’erano molti carrelli, diversi movimenti di macchina particolari, è inoltre è stato girato molto in fretta con un budget davvero modesto. Di questo sono particolarmente  orgoglioso. Tutti pensano che sia un film “ricco” e invece è un film che possiamo definire a medio budget. Per guadagnare tempo abbiamo girato con due macchine da presa, molto intensamente. In dieci settimane, senza due  macchine da presa sarebbe stata una impresa impossibile. Oggi spesso si gira con due macchine da presa anche nel cinema italiano. Anche l’ultimo documentario di Mazzacurati è girato così. Credo sia un modo utile  perché consente maggiore velocità e nel cinema il tempo delle riprese è fondamentale. E’ forse più difficile per le luci ma nel complesso da maggiori risultati.

Tenere in mano la macchina da presa significa anche fare delle scelte di regia?
Assolutamente no. Le scelte dei movimenti di macchina le fa il regista. Io mi sobbarco questo doppio lavoro perché secondo me si ottiene un risultato più coerente. Si crea un rapporto diretto con gli attori, molto più interessante.  Si evita di sprecare  tempo e soprattutto  mi diverte! Le inquadrature a volte si scelgono anche  insieme. Diciamo che sono il frutto di reciproci suggerimenti.

Luca Bigazzi a Cagliari durante la lezione di fotografia a Da quali criteri è stata dettata la scelta delle luci nel "Divo"?
Io e  Paolo siamo al terzo film assieme. Ci intendiamo rapidamente. Abbiamo deciso di usare un tipo di luci molto contrastato, con momenti molto scuri  ma anche altri chiarissimi, di sovraesposizione. Abbiamo deciso di decolorare leggermente alcune immagini per conferire alla storia un'aria misteriosa, da film giallo.  Per esempio abbiamo scelto un tono molto cupo negli interni della casa di Andreotti, ma grandi luminosità nel suo studio. Insomma forti contrasti: luci e ombre così come è la storia raccontata, fatta di luci e ombre...

Quali sono state le scene più difficili?
Per la macchina senz’altro le scene girate dentro il Parlamento perché avevamo a disposizione solo due giorni di tempo.  Mentre le scene del transatlantico (il grande corridoio a fianco all’aula del parlamento ) sono state girate a Torino. Il film  è girato a Roma, Palermo ma anche a Torino “spacciandola” per Roma.

Il transatlantico dunque non era il transatlantico? Sembrava proprio...
No. Questo è il bello del cinema. Quello di rendere credibile tutto.

E la scena dello skate che irrompe all’improvviso in transatlantico?
L’idea dello skate che corre sul transatlantico per poi sfociare in un'esplosione è una idea di sceneggiatura del regista, che è anche un grande sceneggiatore. Una metafora per raccontare l’immobilismo parlamentare, la strage è stata una morte annunciata e nessuno ha fatto niente. Sorrentino è un grande regista perché sa raccontare per immagini, per metafore e simbologie e sa creare una grande atmosfera. Com la scena del gatto per esempio, ma la più bella per me è quella in cui sotto la pioggia si blocca la portiera della macchina di Andreotti.
 
Perché la scelta di girare a Torino, scene ambientate a Roma?
Perché la Film Commission di Torino è entrata nella  produzione. La Film Commission Torino concede contributi ai film che si impegnano a girare con parte della troupe torinese. Siccome, come ho detto, non è stato facile trovare i soldi, quello è stato l’unico modo per poter girare il film.
 
Un consiglio per chi voglia intraprendere la carriera di direttore della fotografia?
Non risparmiarsi, fare fatica, accettare di fare film gratis, contornarsi di un gruppo di persone serie e appassionate. Sono convinto che nella vita chi si impegna veramente ottiene risultati, ma il prezzo in termini di fatica è alto.

E le scuole sono importanti?
Le scuole non servono a  niente, insegnano cose superate. Spesso chi insegna non lavora più. L’importante è trovare un proprio modo di lavorare, un proprio stile.

E il suo modo di lavorare quale è?
La leggerezza, la semplicità, la velocità. Credo anche di avere una grande capacità di ascolto, anche non verbale dei desideri del regista. Intuisco le esigenze del film. Mi piacciono le luci leggere. Prediligo i neon  per questione di comodità perché sono luci economiche, versatili, danno una luce morbida e naturale.  Detesto tutto quello che fa perdere tempo alla recitazione e al lavoro del resto della troupe. Impiegare tempo per sistemare luci pesanti e complicate toglie risorse e tempo a tutto il resto: agli attori, alla cura delle inquadrature e al lavoro del regista.

Come è nata la scena di Andreotti che parla  illuminato dai fari come un divo a casa sua?
Nasce dalla esigenza di renderla irreale, per rendere chiaro che si tratta  di una soluzione di fantasia e che le parole non sono  state  veramente profferite da Andreotti. Dunque anche le luci dovevano adattarsi alla fantasia della scena. È evidente che dei fari  così non possono esistere dentro una casa. L’idea iniziale è probabilmente stata di Paolo, poi come al solito ogni membro della troupe ci mette del suo e la trasforma nel migliore dei modi con le soluzioni tecniche.

Secondo lei è vantaggioso che regista e direttore della fotografia lavorino spesso in tandem?
Sì. Più lavoro con lo stesso regista, più cresce l’intesa. Si perdono diffidenze e il lavoro ci guadagna. Io e Paolo siamo al terzo film.

Progetti?
Sto per cominciare il prossimo film di Piccioni, fra due settimane: “Il premio”. Ora sto finendo di girare un documentario a Venezia, con Mazzacurati.

Un documentario politico?
Tutto è politica… a proposito Cinemecum da che parte sta ?

Dalla parte del cinema…