Percorso

"Sanguepazzo" di Marco Tullio Giordana

di Clara Spada

SanguepazzoLa visione di un film non è mai fine a sé stessa. Ci tocca nel profondo, suscita emozioni, fa riaffiorare ricordi lontani. Questo a prescindere dalla analisi critica, tecnica, che se ne può fare. In particolare, se un film tratta episodi relativamente recenti della Storia, è bene considerarlo con maggiore distacco, possibilmente avvolgendolo nel suo insieme con una occhiata sincronica e diacronica.

Ciò premesso vorrei esprimere il mio pensiero di appassionata di cinema sul recente film di Marco Tullio Giordana "Sanguepazzo", visto in ritardo rispetto a chi ne ha fatto l'immediata critica.
Un film che mi attirava e respingeva allo stesso tempo (da qui la mia reticenza), per gli anni drammatici in cui si svolge, per la mia conoscenza di quanto a suo tempo è stato scritto sui personaggi, sui loro film visti e rivisti.
Due personaggi famosi, belli e dannati, del cinema italiano dei "telefoni bianchi", puritano e politicamente allineato, immagine di una Italia da salotto buono, vestita di raso e di seta, in cui il bacio era il momento più "osé" e l'atto d'amore sempre peaccaminoso per la sconveniente conseguenza del "frutto della colpa", con unica eccezione dello scandaloso primo seno nudo  ne "La cena delle beffe", veloce come un flash tra una risata e l'altra di Amedeo Nazzari e, appunto, di Osvaldo Valenti.
 
 Attori, i nostri, della porta accanto, ben diversi dalle patinate star hollywooddiane e anche dai divi d'oltralpe, che sembravano appartenere ad un altro empireo.
Devo ammettere che "Sanguepazzo" mi è emotivamente piaciuto.
Il timore di Valenti - Montalbano è svanito subito, fin dalle prime immagini, di fronte alla notevole capacità mimetica di Zingaretti. In lui, nella sua trasformazione totale, ho ritrovato la vera autentica maschera di Osvaldo Valenti, i visi si sovrappongono con abilità innata, e personaggio e attore si fondono in un uno.
Monica Bellucci ha fatto del suo meglio per impersonare Luisa Ferida, nella realtà più cupa, tragica, imbronciata, fisicamente più simile alla compagna di Kock. Fragile. Travolta da un amore totale che tutto accetta, anche la perversione, anche la morte.
 
Due momenti mi hanno intenerito: il "cattivo" Valenti che nasconde in tasca una scarpina azzurra del bimbo non nato; le audaci e disperate intime carezze della Ferida per calmare la crisi di astinenza dalla droga del suo uomo, lei, incinta di un nuovo figlio, lei che ha tanto desiderato il primo e che adesso rifiuta il secondo quasi fosse il frutto di un seme maligno.
 
 Lei, col viso sporco di lacrime e rimmel, che dona alla ragazzina la sua collana di perle.
Le date. Ecco un altro punto toccante.
Nello stesso periodo in Sardegna era già dopoguerra, rockandroll, segnorineocchei, pane bianco, pappa americana, secchi cubetti di barbabietola. Salsicciotti e fagioli in scatola. Rientro in città dallo sfollamento, primi bagni al Lido semidistrutto.
Non sapevamo, noi sardi, che nonostante i bombardamenti subìti, le persone e le cose care distrutte, ci erano state risparmiate guerra civile, caccia agli ebrei, rappresaglie naziste e partigiane, il peggio della guerra.
I militari tedeschi spariti da un giorno all'altro e sostituiti dai soldati americani che non sembravano veri soldati ma, loro sì, personaggi del cinema. E, col loro arrivo, Fred Astaire e Ginger Rogers, Esther Williams e Red Skelton. Bob Hope e Bing Crosby e Henry Miller e Benny Goodmam: una nuova musica. Non sapevamo di vivere in un'isola felice mentre il resto dell'Italia affogava in un mare di sangue.
Se, superate le emozioni, analizzo il prodotto-film riconosco che rientra nel solito stile di Giordana. Prima parte interessante e veloce, seconda parte troppo stiracchiata. Questo regista ad un certo punto perde la capacità di sintesi, si bea del suo lavoro tanto da non volersene staccare o non capisce che è tempo di concluderlo.

 Molti personaggi di secondo piano ne ricordano altri simili, visti nei film di Fellini e di Benigni.
La scena del partigiano ucciso che galleggia nelle acque del Lido di Venezia è identica a quella di un film neorealista.
Gli spezzoni di documentari d'epoca sono, oserei dire, invasivi. Già visti e rivisti in tv nelle varie trasmissioni sul tema.
Non ho notato un approfondimento dei vari caratteri che appaiono e scompaiono senza lasciare traccia.
Ho dubbi che "Sangue pazzo" verrà trasmesso in tv. In effetti, per il grande pubblico televisivo, non si sa che cosa questo film intenda dire. Cioé se tratta della vita pubblica e privata di due attori, della storia del cinema italiano degli anni '40, dell'ultimo periodo della guerra nel nord d'Italia, dei partigiani. Nel bene e nel male.
Quando sono uscita dal cinema mi sono trovata in una città deserta. Vicino a Castel San'Angelo, sopra un palco, davanti ad una platea semivuota, una ragazza vestita di nero e fiore rosso tra i capelli cantava una canzone gitana.
L'Italia e la Spagna si preparavano ad affrontare i tempi supplementari della partita.
Dopo i calci di rigore il silenzio ha continuato ad avvolgere tutta Roma, fino a Cinecittà, luogo in cui ha avuto inizio la parentesi felice della storia amara di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida.
Gente dal sangue pazzo.
 
Powered by CoalaWeb

Accesso utenti e associazioni