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Ebraismo - A. Matta

"Batman" di Tim Burton

di Alessandro Matta

 In occasione dell'uscita, proprio Mercoledi 23 Luglio, del II  Episodio della “nuova” saga cinematografica (dopo la storica iniziata nel 1980 e durata fino alla fine degli anni 90), iniziata nel 2005 con “Batman Begins”, sul celebre paladino della giustizia  inventato dalla matita del disegnatore Ebreo Bob Kane, la rubrica Cinemenorah propone una recensione del I storico film di Batman per la regia di Tim Burton uscito nel 1980, buona lettura.

Tim Burton ha costruito con Alan Furst (che già aveva realizzato per Kubrick il Vietnam alle porte di Londra) uno straordinario incubo metropolitano: una città senza tempo che ricorda Metropolis, Biade Runner e Brazil (ma anche i castelli di Walt Disney e le utopie di Sant’Elia), una megalopoli di vicoli sordidi e degradati, tanto gotica e visionaria quanto realistica e probabile, che la macchina da presa di Roger Pratt percorre come Ridley Scott percorreva i canyon di New York in Chi protegge il testimone. In uno di questi vicoli, il giovane Bruce Wayne si vede uccidere sotto gli occhi i genitori da una banda di balordi capitanata da uno psicopatico che ama parlar poetico (“Hai mai danzato col demonio al pallido chiaro di luna?”).
 
Batman 1989Ora Bruce è adulto, miliardario, scapolo (certi segreti sì portano meglio da soli), protetto da un maggiordomo un po’ maestro spirituale e un po’ Jeeves, e di notte pattuglia Gotham City per fare, da giustiziere solitario, quanto manca di fare una polizia che sembra uscita da L’opera da tre soldi. Non ha superpoteri (lo vediamo, in una scena malinconicissima, allenarsi appeso per i piedi, come un pipistrello), ma solo dei supergadget; e ha la faccia un po’ attonita e gli occhialini autoprotettivi da timido di Michael Keaton.
 
È un Buono? Nel suo modo di far giustizia c’è un eccesso di patologica vendicatività. Vendicatività che esplode quando si trova di fronte Jack Napier, e cioè un Jack Nicholson ghignante, gigioneggiante, istrionico, ras della malavita, che il nostro eroe manda a bollire in un pentolone d’acido. Da cui Napier esce, stravolto nel fisico come nella mente.
 
Joker 1989Costretto a mascherare per sempre il suo volto deformato di uomo che ride sotto il trucco di un pagliaccio (d’ora innanzi si chiamerà Joker), Napier ridebutta nel crimine invadendo la cadente e putrescente Gotham City di cosmetici velenosi; sfregia, con gesti ben noti agli happening dell’arte contemporanea e con simbolico contrappasso, i quadri del Flugelheim Museum; e si prepara a gasare i gothamiti che assistono alla sfilata per il bicentenario della città.
Tra i due uomini dai due volti, tra le due opposte e gemelle facce del Bene e del Male, irrompe la Bella, la fotoreporter Vicki Vale, che sotto i riccioloni e la presenza mozzafiato di Kim Basinger riesce anche a esprimere autentici e credibili sentimenti amorosi (ma ha ragione Pauline Kael, nella sua recensione sul “New Yorker”: l’annunciata agnizione di Batman non avviene mai, la scena madre viene ironizzata e poi data per avvenuta).
 
Tim Burton si diverte a riempire il suo film di citazioni e di allusioni: da Corto Maltese (il paese in cui Vicki ha appena realizzato uno dei suoi servizi da premio Pulitzer) a Il gobbo di Notre Dame, con tanto di diavoli di pietra gotici, dal Fantasma dell’opera a Disney (di cui, nella fuga di Batman e Vicki, ricostruisce un bosco incantato), da La donna che visse due volte a Il cielo sopra Berlino.
 
batman e Vicky Vale 1989Ma non si tratta di citazioni che è obbligatorio cogliere. Anzi. Sono solo i pezzi di un puzzle del fantastico dentro cui si collocano una versione moderna, divertente e non manichea della lotta tra Bene e Male (“Io ho fatto te, ma tu prima hai fatto me,” dice Batman quando scopre che Joker, il mostro che lui ha contribuito a costruire, è l’assassino dei suoi genitori), un bel fumetto cinematografico e una storia d’amore fuori dal mondo. Batman (o Bruce) ha veramente dei lati troppo neri. Per vivere con lui Vicki deve abbandonare il mondo. Fortunatamente in Rolls e con maggiordomo (quanto a Robin, no, nel film non c’è. Ma non se ne sente la mancanza).