Percorso

"Pranzo di Ferragosto" di Gianni Di Gregorio

di Clara Spada
 
Pranzo di Ferragosto, locandinaEstate calda e capricciosa, pochi film interessanti al centro di Roma. Il mio nipotino di nove anni ed io ci siamo rinfrescati alla visione del cartoon "Impy" e divertiti da matti con l'ultimo "Indiana Jones". Ma Spielberg è sempre Spielberg, di lui si apprezzano anche le esagerazioni, i mari di formiche rosse, gli scheletri danzanti, le impervie cascate dal tuffo facile... è bravo anche a far ridere.
Poi l'afa tremenda di fine mese, una cappa densa attenuata dagli echi veneziani e, infine, un inaspettato refrigerio con "Pranzo di ferragosto".
Settantacinque minuti di puro godimento, volati via in un lampo, quando ancora l'interesse era pronto ad altre immagini. Che dire di un film-cammeo, delizioso, dolce e amaro, sul quale è già stato detto tutto? E' da vedere e basta, lo proietterei nelle scuole.
Si esce dal cinema affollatissimo rilassati,sereni, riconciliati col mondo e coi propri sensi dicolpa. Forse pronti ad un esame di coscienza.
Gianni di Gregorio ha realizzato un gioiellino con quattro soldi ed è grande come regista e come interprete.
 
E' un uomo di mezza età, solo, unico legame la dispotica madre quasi in simbiosi con lui. Un uomo traballante che beve e fuma, fuma e beve a dispetto della sua salute, forse per riempire la sua vita con qualcosa di totalmente suo. Bicchiere, sigaretta, sedia a sdraio sul balcone unico diversivo alle pretese materne.
Un solo amico di bevute lo accompagna nella sua corsa per le strade deserte di Roma (non vi illudete, non sono così da anni, neppure a ferragosto) alla ricerca di un negozietto aperto in cui acquistare i cibi per il pranzo ferragostano al quale si è piegato. Ha capito quanto poco basta, magari con un gradito "aiutino" monetario, per regalare momenti di gioia al prossimo e ne è sorpreso, compiaciuto, soddisfatto.
Le signore scelte come attrici sono vere e autentiche, nonrecitano, sono così. Le conosciamo tutti, talvolta le trascuriamo, ci danno noia le loro piccole manìe, il loro rifiuto del tempo che se ne va, i ricordi del bel tempo che fu ai quali si aggrappano. Quel tempo in cui erano vive, indipendenti, amate, considerate: Quando nessuno, diciamo per il loro bene, imponeva loro tristi verdurine sbiadite e brodini acquosi.
 
 Dialoghi misurati, perfetti, ingenui, fatti di piccole cose ma mai superficiali.
fotografia splendida e impietosamente crudele nei dettagli in primo piano dei corpi ormai antichi. Che rubano la scena ai particolari di contorno, i piccoli accenni alle storie complementari e un po' squallide di figli medici e capi di condominio, pronti a tutto pur di liberarsi del loro ingombro quotidiano che magari chiamano mamma. Ci fanno sentire in colpa quanto basta, ci fanno riflettere, ma queste sensazioni sono cancellate dalla gioia di vivere che ci trasmettono le deliziose imprevedibili quattro signore, attrici per caso di un Festival importante.
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