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Il documentario? Povero di mezzi, ricco di creatività

A tu per tu col documentarista Paolo Pisanelli, autore di bellissime opere, da "Don Vitaliano" al "Sibilo lungo della Taranta".  Un genere considerato arte povera ma denso di opportunità per la sperimentazione di nuovi linguaggi. di Maria Elena Tiragallo

Paolo Pisanelli“Prima filmo, poi scrivo i soggetti, e infine realizzo le ricerche”. Sono questi i primi tre ingredienti per un buon documentario. Almeno secondo Paolo Pisanelli, professione architetto, esordio da film maker e fotografo di scena nel 1989 per poi tuffarsi nel raffinato mondo della regia documentaristica, trasformando la macchina da presa in strumento di conoscenza della realtà.

Come e cosa comunica un documentario? Quanto lavoro c’è dietro a un suo lavoro?
In ogni opera cinematografica c’è molto lavoro, perché la realizzazione stessa è complessa. Il documentario è arte povera, cioè secondo le risorse che hai poi ti muovi, una passione che va anche oltre il lavoro, perché subentra la l'amore e l'attenzione per ciò che fai. Molto poi dipende dell’obiettivo, se si deve curare un aspetto sociale, oppure raccontare una persona, con la tecnica del pedinamento, allora in quel caso ci sono tempi e tecniche differenti.

Che cos'è la tecnica del pedinamento?

E’ una tecnica che ti permette di seguire una persona e scoprire sempre cose nuove da raccontare, è propria di Zavattini. Anche la vita di un operaio volendola guardare secondo un certo punto di vista può essere eccezionale, perché non sai mai cosa può succedere e occorre trovare il modo giusto per raccontarla. E’ importante filmare, cioè entrare dentro la situazione, e poi pensare al progetto generale.

Paolo PisanelliE la sceneggiatura del documentario come si fa ad elaborare?
Voglio ricordare che stiamo parlando di un genere nato prima del cinema di finzione, che ha dunque ha una storia lunghissima, attori professionisti, ma nel senso di persone che interpretano se stessi, che scelgono di mettersi in gioco, un gioco che si condivide con l’autore. Nel mio documentario, “Don Vitaliano” per esempio ho raccontato la vita di don Vitaliano, prete no global, parroco di Sant’Angelo a Scala, nel suo paesino irpino; i suoi viaggi li ho girati utilizzando materiale d’archivio fino ad arrivare ai fatti di Genova durante il G8. A priori non potevo stabilire cosa sarebbe successo a Genova per la disobbedienza civile e questo è stato un caso dove la realtà ha superato la fantasia. Avere un personaggio, come per esempio don Vitaliano, aiuta il film maker a raccontare la storia in modo più coinvolgente, non si tratta di puro materiale documentaristico. E’ un metodo che di volta in volta può passare anche attraverso l’esperienza personale.

Un’altra sua opera è “Il Sibilo lungo della Taranta” in cui racconta la Notte della Taranta..

In questo film, le parole inseguono le musiche, le melodie. E’ un auto produzione della Big Sur, la mia società di produzioni cinematografiche, fare un film è un’impresa enorme. Vista la situazione del cinema italiano e del documentario ci vorrà tempo per ripartire. Purtroppo c'è poco spazio per fare i documentari che raccontino la nostra cultura. Con la musica e la poesia, ho esplorato il Salento, metafora del Sud-Italia, per raccontare storie di donne oppresse, di emigranti che cantavano canzoni d’amore e di lavoro sotto il sole cocente.

Il loro modo di cantare oggi si confronta con l’esplosione musicale della "pizzica" che ritorna dal passato, legato al tarantismo, antico rituale terapeutico, e prende corpo in un festival, "La Notte della Taranta," appunto capace di attirare in agosto a Melpignano, piccolo centro della Grecìa salentina, migliaia di appassionati, contagiati dal ritmo travolgente dei tamburelli. Una clamorosa festa di popolo ha preso il posto al dolore che affliggeva le persone “morse dalla taranta" e le loro famiglie. E così la "pizzica" continua a svolgere la sua antica funzione liberatoria costringendo tutti a ballare. Con questo film volevo partire dal rito popolare per arrivare alla festa popolare, che coinvolge moltissime persone.

Qual è la condizione del documentario a livello nazionale?

E’ un genere a basso costo che permette molta sperimentazione, anche dal punto di vista del linguaggio. E’ un linguaggio sano, ha delle buone prospettive; il cinema è più artefatto, il documentario è più reale. Permette ai film maker di avere una grande opportunità di sperimentare linguaggi. Non c’è mai un tempo schizofrenico, ma ti permette di lavorare con costanza nel tempo.

Secondo lei oggi si è sviluppato un interesse maggiore verso questo genere?
C’è molta gente appassionata che vuole lavorare in questo ambito. Allo stato attuale l’auto produzione di documentari resta sostanzialmente l’unica via. Per fortuna con le nuove tecnologie sono stati abbattuti i costi di produzione. Puoi fare un ottimo lavoro in casa con una buona qualità di immagine e di montaggio. Le nuove vie di internet aprono inoltre una strada importante. Può essere una soluzione interessante per un cinema povero di mezzi ma ricco di risorse e creatività.