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Film Consiglio

"Changeling" di Clint Eastwood

di Elisabetta Randaccio

Changeling, locandinaE' una maturità di felice creatività quella vissuta da Clint Eastwood, mito del cinema, attore, ma soprattutto regista geniale. Chi lo attaccava con grande stupidità critica negli anni settanta per i suoi film “violenti” d'azione, ora deve inchinarsi a uno sguardo estetico eccezionale, acuto, a una tecnica raffinata sempre più accurata, alla capacità di impossessarsi con abilità della sceneggiatura. Inoltre, come capita ai grandi geni, lo si riconosce subito per un suo personale touch espressivo. Da anni non fa un errore, i suoi ultimi capolavori (da "Un mondo perfetto" a "Gli Spietati", da "Mistyc river" a "Flags of our fathers") dimostrano l'evoluzione e l'approfondirsi del suo immaginario e del suo pensiero, pervaso da una pietas umana sconosciuta ai nostri tempi.
Changeling (termine inglese che evoca lo scambio dei bambini da parte di elfi dispettosi) conferma tale giudizio. Sullo schermo non si snoda esclusivamente la vicenda di una madre (interpretata brillantemente da Angelina Jolie), che si ribella a una ingiustizia palese (le vogliono far credere che il figlio decenne scomparso misteriosamente sia un altro bambino trovato dalla polizia corrotta di Los Angeles desiderosa di recuperare in immaginee professionalità), ma si disegna un quadro ben definito di tutti i personaggi, compresi quelli apparentemente minori. Ognuno di loro ha la sua storia intensa, si evitano manichei giudizi di negatività e di positività, non vi è la necessità di identificarsi per capire le sfumature contraddittorie delle personalità umana che vivono sullo schermo.
 
Persino il ritratto dei minori coinvolti nella terribile vicenda, non è appiattito dalla ricerca della commozione, ma è ben delineato nella diversità delle reazioni (anche patologiche) che i bambini possono sviluppare in determinati contesti. Grazie a un direttore della fotografia rispettoso del rigore estetico di Eastwood, abbiamo la ricostruzione di un periodo storico difficile per gli USA (il passaggio dagli anni venti ai trenta, dalla depressione alla ripresa economica) in maniera assolutamente credibile e affascinante. Non sono, però, i twenties fitgeraldiani di belli e dannati, ma le periferie della piccola borghesia e, poi, ancora i quartieri della Los Angeles incerta tra totale industrializzazione e anima agricola. L'attenzione quasi viscontiana (o “leoniana”?) ai particolari, agli oggetti, ai gesti, agli ambienti dimostra quanto Eastwood  partecipi al processo di conservazione della memoria del suo paese.
 

 

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