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"Ultimatum alla Terra" di Scott Derrickson

di Elisabetta Randaccio

Ultimatum alla Terra, locandinaQuando nel 1951 fu realizzata da Robert Wise la prima versione di “Ultimatum alla terra”, gli alieni non godevano sul grande schermo di vita facile: erano i mostri invasori, metafora delle paure di conflitto universale tipiche della guerra fredda.

Il protagonista Klaatu, dal corpo umano, ma proveniente da altre galassie, era arrivato sul nostro pianeta per metterci in guardia dalla distruzione nucleare insieme a un robottino capace di devastare ogni cosa con il suo potente raggio killer, ma così simpatico da diventare il modello iconico per simili automi almeno fino a “Guerre stellari” di Lucas.

Il remake di Scott Derrickson (autore dell'inquietante “The exorcism of Emily Rose”) era sicuramente un progetto interessante, che inizia con un misterioso episodio sulle cime del Karakorum nel 1928, e, poi, sviluppa la prima parte improntandola su scene d'azione adrenaliniche con buon impatto visivo e drammaturgico. Klaatu è l'alieno per eccellenza cioè Keanu Reeves, che ha il fisico giusto, ma recita come un pezzo di granito, mentre il “tenero” robot è diventato un gigante, simboleggiante la forza della natura pronta a punire gli umani impegnati a distruggerla.

Infatti, il messaggio prettamente antimilitarista del secondo dopoguerra è stato sostituito con quello ambientalista dalle tinte molto politically correct. Se la sceneggiatura ad un certo punto cede, complice pure un insopportabile bambino, figura, ormai, tipica in qualsiasi script mainstream americano, le sequenzee d'azione resistono e chi ama la fantascienza intelligente tutto sommato può dirsi soddisfatto, mentre il cinefilo noterà le citazioni da Blade runner (la scena dell'interrogatorio e la pioggia simbolica che rende gli ambienti cupi e vicini al “diluvio” apocalittico). L'eroe alieno non dice più “Klaatu barada nikto”, ma ci lascia con una sorta di sacrificio di tipo messianico, che, ancora una volta, salva dall'estinzione gli umani ingrati e piagnoni.