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Con la Cavani, al di là del bene e del male

Non capita a tutti di passare lunghe ore a tu per tu con Liliana Cavani. A tutti no, ma alla nostra critica sì. Ecco in questa lunga e appassionante intervista, la sua personale visione del cinema, della critica cinematografica, della danza, della vita. di Elisabetta Randaccio

Il momento della premiazioneLiliana Cavani ovvero una persona straordinaria, dolce, acuta, paziente. Parlando della sua formazione ricorda la sua infanzia e la sua adolescenza trascorse a Carpi, un paese di donne che lavoravano per mantenere la famiglia, coraggiose e indipendenti. Ricorda la nonna, la madre, la zia Libera che le hanno insegnato a essere tenace, sicura e curiosa.

Le ore passate con la regista di “Portiere di notte” sono state fondamentali anche per capire quanto la genialità non cancelli la disponibilità e la sensibilità, virtù quasi sconosciute nell'ambiente del cinema.
Quando al Cineword, a conclusione di una rassegna completa dedicatale dall' associazione "Alambicco", le è stato consegnato dall'Assessore alla Cultura di Cagliari Giorgio Pellegrini un premio alla carriera, ha affrontato anche le domande del pubblico con chiarezza e semplicità. Abbiamo, poi, chiacchierato con lei a lungo, attraversando alcuni momenti del suo percorso artistico.

Mickey Rourke - FrancescoHo notato, rivedendoli durante la rassegna a lei dedicata, che tra “Al di là del bene e del male” e il secondo “Francesco” potrebbe esserci una connessione, cioè “l'utopia della Trinità” tra Lou Salome, Nietzsche e Paul Ree, ossia un rapporto intellettuale, sensuale, privo di legami erotici, poi fallito, si sia realizzata, invece, tra Francesco e Chiara..
Quello tra Francesco e Chiara era un legame che prevedeva un progetto intellettuale e spirituale fattivo. In “Al di là del bene e del male” si racconta il tentativo di tre intellettuali di impostare un rapporto personale che potesse essere differente dalla mentalità mediocre e ipocrita dell'epoca. Viene evidenziata, poi, soprattutto la voglia di libertà di Lou, la sua necessità di scegliere e non essere scelta.

La danza è presente con una forte funzione drammaturgica in alcuni suoi film: nel “Portiere di notte”, in “Al di là del bene e del male” - dove la scena finale della lotta ludica nel fango di Lou e Nietzsche sembra essere speculare alla visione avuta dal filosofo tedesco ed esplicitata in una coreografia - e anche in “Dove siete? Io sono qui”. Sembra, insomma essere un elemento importante nella costruzione delle sue opere...
La danza è un espressione artistica di grande rilevanza, con una profonda dignità estetica. E' entrata nei miei film con naturalezza. D'altronde, il concetto di danza lo si può applicare a modi svariati di gestualità. Lou e Nietzsche giocano con gioia nel fango, mentre, precedentemente, nella visione il filosofo osserva, in maniera allucinatoria, la lotta tra Cristo e il diavolo. Anche in certe scene d'azione può inserirsi una sorta di coreografia: penso alla sequenza sul treno di “Il gioco di Ripley”.

“Ripley” è un'opera molto bella, assai fedele allo spirito dell'omonimo libro di Patricia Highsmith. Il personaggio, però, era già stato protagonista di alcune pellicole firmate da altri registi. Come ha scelto il soggetto?
Avevo visto “Il talento di Mr. Ripley” di Antony Minghella, scomparso recentemente, ma non mi aveva convinto. Il personaggio era gelido, non era comprensibile la sua particolare personalità. Il mio Ripley è cinico, ma paradossalmente amabile e vitale. E' umanamente immorale.

Forse come per “Francesco” la scelta dell'attore era l'unica possibile. Lì Mickey Rourke, in “Ripley's game” John Malcovich.
Infatti non c'era nessun altro interprete “sulla piazza”, in quel momento, che avrebbe potuto dare vita a un personaggio dalle sfumature così raffinate.

Il suo ultimo lavoro, “Einstein”, trasmesso poche settimane fa da RAI 1, ha avuto uno share assai rilevante. Ha voluto, ancora una volta, trattare la vita di un uomo straordinario, per certi versi (uso una parola che so non le piace) con spirito didattico?
Non ho pensato a questo. Ho raccontato un personaggio speciale, che vive la scienza anche nella quotidianità. Non mi piaceva lo stereotipo del ricercatore “pazzo” o “bizzarro”. “Einstein” è la storia di una vita incredibile e certamente mostra lo studio della fisica non come una materia astrusa o dissociata dalla nostra esistenza. Inoltre, Einstein era uno spirito libertario, che aveva capito, sin dalle prime avvisaglie, le radici malvagie della dittatura hitleriana, da cui è riuscito a fuggire.

Quale è il suo rapporto con la critica? Ho letto sui suoi film recensioni-spazzatura e pagine di tipo quasi letterario.

Non mi interessa. Leggo pochissimo di ciò che si scrive sui miei film. Però, per “Ripley's game” mi hanno inviato una pagina del “New Yorker”, che  esaminava il film con grande passione e giudizio eccellente. Non nego che mi abbia dato una notevole soddisfazione.

Galleria fotografica della premiazione

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 La Videointervista
La premiazione
Incontro con il pubblico