Percorso

Film Consiglio

"The Millionaire" di Danny Boyle

 di Elisabetta Randaccio
 
The MillionaireVera sorpresa di questa stagione cinematografica, “The millionaire” (l'originale “Slumdog millionaire” era più esplicito) è un film bello e di successo, imprevedibilmente vincitore del Golden Globe e candidato all'Oscar. Danny Boyle, autore teso a ricercare soggetti adeguati alla sua originale creatività sperimentale, si è innamorato della sceneggiatura di Simon Beaufoy (“Full monty”) tratta da un libro di Vikas Swarpum (“Le dodici domande”) ed ha girato in India, nei luoghi dove si svolge l'amara tragicommedia, guadagnandone in energia e libertà espressiva che non emergeva dai tempi di “Trainspotting”. Lo spunto narrativo lo aiuta in un gioco di flashback che tiene desta l'attenzione, l'emozione e l'ansia degli spettatori, i quali, così, ricompongono, sequenza per sequenza, la vita del giovane Jamal. Il ragazzo, in maniera avventurosa, è riuscito a partecipare al quiz Chi vuol essere milionario? edizione indiana, medesimo format di quello occidentale con simili dinamiche e caratteristiche: stessa volgarità del pubblico in sala, stessa stupidità cinica del conduttore, stessa ansia da rivincita degli spettatori di fronte alla tv.
Jamal, cameriere in un call center, risolve tutte le domande. Sembra incredibile, ma ogni risposta ha una sua ragione precisa nella esistenza del ragazzo, ognuna corrisponde a un momento della sua vita terribile, trascorsa negli slums di Mumbay. Boyle ha ben in mente i personaggi dickensiani della prima rivoluzione industriale sovrapponibili alle infernali esistenze dei bambini sbandati indiani nell'epoca del trapasso dalla povertà assoluta all'attuale boom economico che, però, continua a dividere e ad allontanare nei bisogni e nei redditi le classi sociali e le caste ancestrali. Il regista alterna il drammatico al grottesco, l'ironia, l'amarezza e la melanconia, mai crogiolandosi nel patetismo. Semmai, si nota la passione che lo ha travolto per i personaggi e per il “continente” India, i riferimenti al suo cinema: dai bambini di strada neorealistici di Satyajit Ray ai melodrammi fiammeggianti di Bollywood. In questo senso, la fotografia splendida di Antony Dod Mantle è fondamentale nel ricreare i frammenti di memoria di Jamal, mentre il favoloso, ironico, liberatorio balletto finale (non andate via sui titoli di coda!) è una gioia per gli occhi. Danny Boyle firma la sua opera migliore ricordandoci che il feuilleton, come nell'ottocento, può restituirci i drammi della realtà sociale più di un serioso documentario.
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