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Percorso

"French cancan" di Jean Renoir

di Sergio Scavio
Recuperare film dimenticati dai più e farne un'edizione in Dvd filologicamente scrupolosa ed attenta è un'operazione da scienziato pazzo o da topo di cineteca. Per strane trame una casa di produzione, nata nel 2002 dall'acquisizione del materiale tra gli altri della CINES ed E.N.I.C, ha condotto la propria ragione d'esistere sul rigore, scovando film altrimenti persi. La Ripley's Home Video propone infatti in catalogo tutte le opere di Blasetti, tra cui 1860, Quattro passi tra le nuvole e Altri tempi, film di registi dimenticati come, tra gli italiani, Giorgio Simonelli, Esodo Pratelli, Amleto Palermi e Fabio Carpi, per citarne solo alcuni. Non mancano le opere minori o sottovalutate di maestri come Giuliano Montaldo, Mario Monicelli o Florestano Vancini. Fiore all'occhiello della serie le scintillanti versioni restaurate di Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci e di La terra trema di Luchino Visconti. Altrettanto interessante la proposta estera, con i film di Herzog, Wenders, Costa Gavras, Jean Luc Godard ed altri. Da segnalare, tra i tanti, i rari film di Marguerite Duras e lo splendido cofanetto, da avere assolutamente, di Chris Marker, nel quale sono compresi La Jetée, Level Five e lo splendido Sans Soleil. In mezzo a questo tesoro si può trovare la recente riedizione di French cancan di Jean Renoir, esempio dell'utopico lavoro della Ripley's nel cercare la copia definitiva.
Sono infatti presenti nel Dvd due dischi, contenenti la versione italiana in uno, della durata di 97' ed accompagnata da una chiacchierata tra la Braunberger e Renoir, e quella francese di 105'. Come se non bastasse, le scene mancanti per censura nella copia italiana (purtroppo master del Dvd non essendo presente in Italia un internegativo) vengono riportate nel booklet, aggiungendo le motivazioni che all'epoca ne hanno causato l'esclusione dall'opera giunta in sal. Tutto questo per dimostrare che, se si vuole, il formato home video digitale può recuperare torti del passato e far godere lo spettatore dell'opera più prossima alla volontà dell'autore. Un autore in questo caso decisamente in forma, a dispetto di chi sostiene che "French cancan" sia un'opera minore e dal gusto popolare, rispetto a pellicole come "La regle du jeu" e "La chienne". Il film scorre infatti sul tema più caro a Renoir, il cinema come illusione e l'illusione del cinema. E quale mondo è più abbagliante del periodo d'oro di Montmartre, Pigalle e la Parigi di fin de siécle, dove il regista è nato (figlio del pittore Auguste) respirandone l'aria creativa e provocatoria?
In "French cancan" la messa in scena è anarchica senza per questo essere caotica: i livelli di messa in scena magicamente si fondono in una libertà unica, così come le classi sociali si uniscono polverizzando barriere e gerarchie, in nome della sensualità e dell'edonismo. Renoir riesce, come i migliori illusionisti, a rendere affascinanti, allo spettatore e ai suoi protagonisti, lavori sottopagati ed insicuri come il mediocre attore da cabaret, la giovane lavandaia ballerina del cancan, il direttore di sala squattrinato,quest'ultimo interpretato da un Jean Gabin ai propri vertici. Tutti questi personaggi, ammassati sensualmente tra di loro, danzano a ritmi sfrenati, accompagnati da una macchina da presa più libera che mai. La razionalità viene assorbita sempre dal demone della passione senza prevederne l'esorcismo, con dunque i sensi che travolgono tutto indistintamente. Chi ha amato "Moulin Rouge" di Baz Lurhmann, come è capitato a me, non potrà, mai verbo più azzeccato, non godere con "French cancan".


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