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"Il dubbio" di John Patrick Shanley

Il consiglio di Elisabetta Randaccio
 
“Il dubbio” è stato un grande successo a Brodway, premio Pulitzer 2005, approdato l'anno scorso anche sui palcoscenici italiani interpretato da Stefano Accorsi e Lucilla Morlacchi, diretti da Sergio Castellito. L'autore, John Patrick Shanley – sceneggiatore di fortunati film hollywoodiani come “Stregata dalla luna”, “Congo”e lui stesso regista di “Joe vs il vulcano” - l'ha portato sullo schermo adattando l'opera alle esigenze cinematografiche, avendo a disposizione una compagnia d'attori formidabili che sono diventati, con lui, i veri autori del “Dubbio”. Il faccia a faccia tra Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman vale abbondantemente il prezzo del biglietto. Concentratevi sulla Streep, dimostrazione vivente di quanto una attrice grandiosa possa non solo scegliere ruoli importanti pur non essendo più una conturbante giovinetta, ma capace di trasformare per mezzo della sua inarrivabile arte recitativa un personaggio che, messo in mano a un'interprete meno sensibile e intelligente, poteva diventare grottesco, addiritura macchiettistico. La Streep ha delineato la sua terribile Suor Aloysius dosando con mestiere la cattiveria, l'acidità, ma anche la debolezza, la solitudine della donna. Nei suoi frequenti primi piani, dove si offre senza nessuna remora estetica alla macchina da presa, noi spettatori capiamo ciò che non esiste nel testo, cioè il passato della religiosa, le sue sofferenze, le sue repressioni, persino la sua infanzia.
 
Nessuno ce lo racconta, ma noi sappiamo tutto del personaggio grazie alla sua interprete. Perfetta applicazione del metodo Stanislawsky? Non solo, perché in questa donna di mezza età c'è anche il percorso creativo-esistenziale di Meryl Streep, giustamente candidata per la quindicesima volta al premio Oscar.
Il regista, se è vero che non sempre riesce a sfoltire l'elemento prettamente teatrale dalla sua scenggiatura, soprattutto nel finale (con uno zoom all'indietro equivalente al calare del sipario), utilizza a dovere lo specifico cinematografico e crea un ambiente e una vicenda di cupezza quasi bergmaniana, evocando i temi del silenzio di Dio, del senso ultimo della fede e della sua pratica. Shanley, inoltre, opta per un'epoca storica precisa, il 1964, quando gli Stati Uniti, dopo la breve era Kennedy, si stanno trasformando profondamente nel sociale e nei costumi.
 
La suora, che dubita di Padre Flynn, accusandolo di pedofilia, è, ormai, il residuo di un passato pronto a esplodere in mille pezzi, mentre il sacerdote, di cui non sapremo mai le vere tendenze, è un prete con l'ottica teologica del Concilio Vaticano II, ben consapevole dei tempi mutati. Il conflitto tra i due, poi, potrebbe intendersi in altri modi: chiesa maschile e chiesa femminile, astuzia contro senso di colpa, sessuofobia contro libertà sessuale, vecchie generazioni contro nuove e, nel film, troverete riflessioni pure sul razzismo, sulle violenze domestiche, sulla libertà di insegnamento... Infine, se quel continuo vento freddo evoca sicuramente il brano rossiniano del “Barbiere di Siviglia” sulla calunnia, aver immerso la vicenda in un freddissimo inverno “del nostro scontento”, aiuta a percepire meglio le coscienze congelate nell'intolleranza e nell'ipocrisia.