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Non è tutto "Oil" quello che luccica

Intervista a Massimiliano Mazzotta autore del documentario sulla Saras, arrivato finalmente anche sugli schermi cagliaritani. "Mi avevano parlato di una fabbrica modello, ma siamo sicuri la pensino così anche gli abitanti di Sarroch?". di Elisabetta Randaccio
 
Oil”, documentario di Massimiliano Mazzotta è stato proiettato nei giorni scorsi a Cagliari (venerdì al cinema Odissea e domenica nel salone della Società Umanitaria-Cineteca Sarda), davanti a un folto pubblico, che è stato talmente coinvolto dal film, da partecipare vivacemente alla discussione coordinata da Antonio Caronia, docente di Comunicazione Multimediale all'Accademia di Belle Arti di Brera.
“Oil” si concentra sul sito industriale della Saras e analizza le ragioni della sua nascita e le conseguenze dell'installazione nei pressi di un centro abitato attraverso materiali di repertorio, interviste ai dirigenti della fabbrica, agli operai, ai medici che seguono le analisi sull'impatto ambientale del polo chimico, ai familiari di lavoratori scomparsi per gravi tumori, agli abitanti di Sarroch. Vengono accumulati dati, opinioni, testimonianze che inquietano, seppure non condannino definitivamente la raffineria più importante d'Italia. Semmai, vedere le foto del sito dove si sarebbe costruita la Saras mette tristezza: un tratto di costa meraviglioso, ormai perso definitivamente nel nome della logica discutibile dell'industrializzazione a a tutti i costi. Il regista Massimiliano Mazzotta, presente alla proiezione cagliaritana, mostra una professionalità già sicura, acquisita nel corso di una carriera, costruita prima come fotografo, poi come autore di cortometraggi di ottima qualità (tra gli altri “6 x9” e “Air Linate”) presentati nei festival specializzati. “Oil” lo ha coinvolto fortemente, per cui abbiamo avuto la curiosità di capire come era scaturito il soggetto del film.

immagine di un oil tankerLa mia esperienza registica nasce con il cortometraggio. Ho realizzato, in questo senso, alcuni lavori incentrati sul carcere di S.Vittore, sullo stupro, sull'anoressia. Uno di questi ha avuto origine all'interno del Festival delle Lettere di Milano e, dato che avevo girato un corto su una lettera di una donna di Quartu S. Elena, ho deciso di venire in Sardegna per incontrarla. Dovendo andare nella sua casa a S. Margherita di Pula, ho percorso la strada che sfiora la Saras e mi ha subito colpito il sito industriale e la sua posizione geografica. Con pochi mezzi e con una telecamerina ho iniziato a filmare le conversazioni su questo argomento al bar e da lì, piano piano, è venuto fuori il documentario.

Dunque, ha avuto sempre un interesse verso il documentario sociale?
Avendo realizzato soprattutto reportage fotografici (tra gli altri uno sul cruentissimo mercato del pesce di Tokio), l'approccio al reale e al sociale sono arrivati di conseguenza. Questo contatto con la quotidianità lo conservo utilizzando la telecamera. Prima di filmare, comunque, cerco di approfondire i dati a mia disposizione. Nel caso di “Oil” le interviste sono diventate fondamentali, compresa quella al governatore Soru, che è la sintesi di quasi un'ora di girato, o ai dirigenti Saras che, comunque, si sono dimostrati disponibili, essendosi informati attentamente sui miei precedenti lavori.

La SarasEra consapevole della delicatezza e importanza del tema, così sentito in Sardegna?
Quando sono arrivato non sapevo niente su questa industria petrolchimica, tranne che era la più produttiva d'Italia e apparteneva alla dinastia Moratti. Mi sono chiesto subito se tale rilevanza avesse una corrispondenza con la qualità del lavoro e dell'impatto ambientale. Forse, quando ho scelto il soggetto, non avevo l'esatta coscienza di dove sarei potuto arrivare, così, quando sono andato in Germania a intervistare il dirigente della società tedesca, cliente della fabbrica di Sarroch, sono rimasto colpito dal fatto che mi sottolineasse come la Saras sarda avesse il più potente gassificatore Texaco d'Italia. Una fabbrica modello; ma è quello che pensano anche gli abitanti di Sarroch?

Crede che continuerà il percorso cinematografico del documentario sociale?
Sì, anche se mi piacerebbe andare oltre il digitale e lavorare con la pellicola.
 
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