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"Gran Torino" di Clint Eastwood

 
''Gran Torino''
 
Gran bel film “Gran Torino”. Clint Eastwood si conferma come uno dei pochi registi capaci di dirigere se stessi, senza cadere nel protagonismo debordante, e rimanendo capaci di rendere una prestazione attorale incredibile. La “Gran Torino” è un'automobile Ford del 1972, a cui lo stesso Kowalski (Clint Eastwood) ha montato lo sterzo durante i suoi quarant’anni di operaio in catena di montaggio. L’auto è l’oggetto intorno al quale si sviluppa tutta la storia, tutti la vogliono, ma solo il più puro di cuore alla fine l’avrà. Kowalski è la summa di tutti i personaggi di Clint, un Gunny invecchiato (“con le caccole come te in Corea ci facevamo i muretti”), un ispettore Callaghan ulteriormente incarognito dall’anzianità e dai parenti serpenti (“io sono una di quelle persone che non ti conviene far incazzare”), l’astronauta spaziale che compie la sua ultima missione, il vecchio allenatore che prende sotto la propria ala protettiva la parte buona delle nuove generazioni, passandole il testimone.
Kowalski, alla morte della moglie, resta solo con il proprio cane, ultimo americano (ma di origine polacca) in un quartiere abitato solo da persone di etnia Hmong.
''Gran Torino''Razzista verso i musi gialli che ha combattuto in Corea, li disprezza; odia i preti, e l’ipocrisia di un mondo in cui non si riconosce più. Un mondo che è cambiato troppo velocemente rendendo quelli come lui “obsoleti”. Questo distacco di valori, modi, lo allontana anche dai figli e dai nipoti, preoccupati soltanto di poter avere l’auto e la casa alla sua morte. Scoprirà, a sue spese, di avere molto più in comune con quelli che lui stesso definisce “topi di fogna”, che non con la sua famiglia.

L’America di Kowalski non esiste più, tutti i bianchi wasp che si vedono nel film sono perdenti, minoritari; dal medico, dal sarto, nei negozi, tutti sono quasi ossessionatamente immigrati, razzisti gli uni verso gli altri, come nel film "Crash".
''Gran Torino''Tutti americani ma tutti l’un contro l’altro armati, benché in moltissime inquadrature la bandiera a stelle e strisce sventoli nello sfondo, quasi come un monito.
In tutto questo il regista Clint Eastwood riesce a dare una speranza, un futuro, una proposta, toccando il cuore e la parte buona di ognuno di noi. Gli attori sono tutti sconosciuti o semi sconosciuti, bravi e credibili. Uno straordinario Clint regge quasi da solo tutto il film, la canzone della sigla di coda è del figlio Kyle Eastwood. Questo film è dedicato a tutti gli spaesati cresciuti nel secolo breve, che ha stravolto troppo velocemente le esistenze di molti di noi. In sala la stragrande maggioranza era over 30, all’uscita sembravamo tanti Kowalski sopravvissuti.


 
''Gran Torino''
 
Io vorrei invecchiare come Clint Eastwood. Dico sul serio. Con quelle profonde rughe che gli solcano il viso con straordinaria dignità. Ché la carne è carne, non plastica. Ci vuole dignità, nell'invecchiare. Nel vivere. Ma soprattutto, a 79 anni vorrei essere una persona come lui. Sicuramente con molti difetti, ci mancherebbe. Siamo uomini, per fortuna. Ma uno che dirige un film come "Gran Torino" non può non essere una gran bella persona.

Non ci sono più parole per parlare del regista americano. E dei suoi film, autentiche gemme del cinema contemporaneo, e non solo. Raccontando storie in apparenza minori, semplici, parlando di persone, perché il suo è appunto un cinema di storie e di persone, riesce a scavare nell'animo umano e a toccare nervi scoperti come pochi altri. Offrendoci delle straordinarie riflessioni, mai banali, su temi universali come la vita, la morte, la vecchiaia, il rapporto padri-figli, il rimpianto, il riscatto, la religione, il razzismo, la violenza, la guerra. Per lasciarci alla fine della visione inebetiti, storditi da tanta umanità desbordante il grande schermo.

''Gran Torino''"Gran Torino" è un film meraviglioso. Che sfiora il capolavoro, piazzandosi giusto un pelino sotto "Mystic River," "Gli spietati" e "Million dollar baby". E "Million dollar baby" è forse il film a cui "Gran Torino" si avvicina di più, come tematiche. Soprattutto relativamente al rapporto padri e figli, ovviamente. E all'incombente senso di morte che pervade ogni singolo fotogramma. Alle scelte etiche e morali. Al sacrificio necessario per poter andare avanti, in questa vita. Per ri-iniziare e riscattarsi, in qualche modo.

Se come si dice è pure l'ultima interpretazione di Clint come attore, questa pellicola è davvero la cosa più vicina possibile ad un testamento cinematografico. Un romanzo di formazione che inizia e finisce con un funerale. E tra questi due funerali impariamo a conoscere Walt Kovalski, ex soldato nella guerra di Corea, in pensione dopo una vita da operaio alla Ford di Detroit.

''Gran Torino''Un uomo misogino, razzista, incattivito col mondo, che non sopporta i suoi figli e i suoi nipoti, nei quali vede la degenerazione dei valori ai quali ha sempre creduto, non senza ragione. Un uomo a cui la guerra ha prosciugato l'anima, perchè "quello che ossessiona di più un uomo è ciò che non gli è stato ordinato di fare". Un uomo fondamentalmente solo, che vive accanto a una famiglia asiatica di etnia Hmong che disprezza con tutto il suo apparentemente arido cuore. Un uomo solo con il suo cane, le sue abitudini, le sue birre, i suoi pochi amici e la sua Ford Gran Torino del '72, a cui tiene quasi più che a se stesso. Un'auto che provano a rubargli, episodio che cambierà alla fine la sua vita. Inizia infatti ad avere rapporti con i suoi vicini orientali, con la loro cultura a lui così estranea. Per iniziare a rendersi conto di avere più cose in comune con loro che con la sua famiglia biologica. Diventando una sorta di figura paterna per il sedicenne Thao, sensibile ed insicuro.

''Gran Torino''L'incontro-scontro tra le due culture offre parecchi momenti molto divertenti, grazie a notevoli dialoghi sboccati e molto politically incorrect. Il che evita per fortuna un messaggio antirazzista troppo laccato e prevedibile. D'improvviso però il film scarta bruscamente e la violenza irrompe spietatamente in un crescendo che porta ad un finale durissimo, commovente e in qualche modo inevitabile, come sempre in Eastwood.

Il regista californiano "mette" dentro questo testamento cinematografico praticamente tutti i personaggi da duro che ha interpretato nella sua carriera. Una carriera che inizia con una pistola, messagli in mano da Sergio Leone, per finire con un semplice accendino, mentre la pistola viene solo mimata con un gesto della mano. Questa è la realtà, non è il villaggio di Ramon con il suo fucile. Dirty Harry è servito.

''Gran Torino''Eastwood ci regala il solito ritratto desolato dell'America contemporanea. Riflette sui sensi di colpa, sulla vecchiaia, sui rimpianti, sulle conseguenze della guerra, sulla possibilità di riscattarsi in qualche modo, sulle scelte individuali, sugli obblighi della figura paterna, dirigendo-interpretando un personaggio indimenticabile, sospeso tra un passato che non smette di tormentarlo ed un futuro che lo inorridisce. Un uomo razzista e sgradevole, ma a suo modo onesto, con una sua forte moralità laica. Una interpretazione-direzione di una sincerità disarmante che non può non commuovere.

Insomma, "Gran Torino" è un canto del cigno davvero straordinario. Che chiude il cerchio tra chi recitava con due sole espressioni, con cappello o senza, e chi invece dice tutto solo muovendo impercettibilmene le rughe attorno alla bocca.

Io voglio invecchiare come Clint Eastwood.