"Ti amerò sempre" di Philippe Claudel
Infatti, grazie ad un racconto a più piani, con temi intrecciati che si accavallano e si dipanano in modo anche sorprendente, emerge, via via, il dramma e la sofferenza di tante esistenze, ciascuna chiusa nella sua solitudine, temperata, anche solo in parte, dal contatto umano e dalla comprensione solidale.
L’autore ci parla di un film sul dolore, che è insieme individuale e collettivo, e sulle sue terapie, non sempre vincenti ma almeno consolatorie.
Tra tutti, il dolore più grande è quello di Juliette, la protagonista, alla quale Kristin SCOTT THOMAS, con una recitazione rarefatta e perfetta, offre tutto il possibile campionario di sguardi vuoti ed assenti e la disperazione delle mille sigarette fumate con rabbia, che ci rende possibile intuire, almeno lontanamente, in quale pozzo senza fondo la sua anima sia precipitata.
In mezzo alla lunga serie di tentativi di riavvicinamento tra le due donne, la storia dissemina, lentamente, la serie di indizi che ci portano alla scena finale, che ci spiega, in modo drammatico, quali fossero state le ragioni di quel delitto.
Per tutto il film, dopo la rivelazione che Juliette era l’assassina del suo bambino, restiamo incerti sull’atteggiamento da tenere, come spettatori, nei suoi confronti, visto che i suoi stessi cari non sanno se trattarla da feroce omicida o da persona meritevole di pietà umana; per tutto il film, non sappiamo il perché di quel gesto di 15 anni prima, non riusciamo a valutare l’esatto confine di quel dramma consumato e pagato, almeno alla giustizia umana, in termini di carcere e di silenzio.
Eutanasia: questo è il terribile argomento della storia, la dolce morte, con tutto il peso di una scelta tra la morte e la sofferenza.
Il finale è questo e, mentre scorrono i titoli di coda, ci avviamo all’uscita del cinema, in silenzio, ognuno compreso nelle sue riflessioni sul tema.
Questo film entra nel dibattito sull’eutanasia con la forza del dramma, nel quale sono chiare le situazioni, molto meno le soluzioni.
Diciamolo chiaro e forte, senza equivoci: nessuno ha il diritto di vita e di morte su un altro, la morte, e quindi la vita, non sono beni disponibili o trattabili.
La consapevolezza della responsabilità aumenta, e non diminuisce, il senso di sgomento di fronte a questa storia: la madre si assume la sua colpa e si carica tutto quel peso, senza cercare né scusanti né pietà.
Non è solo un atteggiamento remissivo o di auto abbandono: è il coraggio civile di chi affronta la sua colpa, convinta di aver agito, allo stesso tempo, in modo giusto ed in modo sbagliato.
Ma ci insegnate anche che le regole giuridiche vanno rispettate e che le ragioni del cuore, se bastano per una mamma, non possono sostituire i principi dello Stato e del diritto.
È un film educativo, anche se non è questo il suo obiettivo primario: costringe a riflettere e spinge all’analisi di temi profondi, come la vita o la morte o sul rapporto tra scelte individuali ed esigenze collettive.
Una bella lezione, in tempi così inquieti ed in una società così poco incine al confronto, dove gli argomenti non vengono spiegati ma solo urlati, senza altra logica che quella del tifo becero da stadio.
Ma, almeno in questo film, abbiamo la sensazione che ogni argomento, anche quello più delicato ed intimo, possa essere discusso ed analizzato, al cospetto della società, senza doversi necessariamente scontrare: alla fine, il film è essenzialmente questo, potenza del dialogo ed rispetto della persona.