Zucca, miglior corto al David di Donatello
La professionalità e la creatività cinematografica, Paolo Zucca l'aveva già dimostrata con i suoi precedenti cortometraggi, premiati ai festival specializzati e con le sue sceneggiature, come quella per “Gli angeli di Borsellino”, diretto nel 2003 da Rocco Cesareo.
Chi, poi, ha visto il breve, ma emozionante, “Banana rossa”, spot sulle mine antiuomo realizzato con abilità da un soggetto originale efficace, “a sorpresa”, non può stupirsi di fronte ai successi che il suo ultimo lavoro,“L'arbitro” ha ottenuto. Vincitore di un rilevante Festival Internazionale come il Clermont Ferrand, è stato proclamato miglior corto italiano del 2008 nell'ambito del David di Donatello, il nostro “Oscar”, che segnala i film migliori della stagione.
“L'arbitro” è la dimostrazione di quanto un cortometraggio possa essere efficace quanto una pellicola destinata alle grandi sale. E' un'opera convincente, originale, di ottimo livello artistico e tecnico, frutto di una valida collaborazione tra professionisti.
Girato in un ottimo bianco e nero (la fotografia è di Patrizio Patrizi), è venato di ironia e di un tocco di surrealismo, raccontando una storia violenta che culmina in una partita di calcio di una piccola squadra di paese, dove le dinamiche sociali, emotive, aggressive non sono differenti da quelle dei tifosi e degli atleti di divisioni più autorevoli. Zucca riprende con abilità ciò che, in genere, sembra impossibile sul grande schermo: restituire le azioni di un incontro di football, allo stesso tempo, in maniera realistica e visionaria. “L'arbitro” ha, inoltre, la capacità di rivolgersi a un pubblico vasto, l'ambientazione è sarda, ma questo non è un limite perché il contenuto del film va oltre qualsiasi frontiera culturale e geografica.
Abbiamo voluto chiedere a Paolo Zucca, che riceverà il David il 7 maggio, di parlarci del suo corto, prodotto dall'Istituto Etnografico della Sardegna (ha vinto il concorso Avisa indetto dall'Ente per filmaker sotto i quaranta anni) con il contributo del Banco di Sardegna, del Comune e della Provincia di Oristano.
Giustifichiamo innanzitutto l'uso del bianco e nero.
Non è stata solo una scelta prettamente estetica, il bianco e nero mi ha aiutato nel processo di astrazione della storia. Non volevo raccontare la Sardegna in senso realistico, con i vari problemi sociali, né farmi prendere da tentazioni interpretative in questo ambito. La vicenda si svolge nell'isola, ma va oltre quasiasi inquadramento spazio-temporale. In questo senso, l'opzione per il non colore aiutava la struttura metaforica.
Proporre sul grande schermo il calcio è sempre stato un fallimento; lei riesce, invece, a riportare sia il gesto atletico, sia le emozioni, anche inconsce, del pubblico sportivo. E' un fan del football?
Amo certo il calcio, ma mi interessava come spunto simbolico, che potesse interessare l'eventuale spettatore. Il film ha anche una radice etnica precisa, ma quest'ultima più che un punto d'arrivo diventa un mezzo. E' vero, il football non ha avuto fortuna al cinema, si salva qualche pellicola, come la demenziale “Shaolin soccer” (2001, di S. Chow), tecnicamente assai valida. E' sicuramente complicato riprendere azioni calcistiche, anche perché i giocatori sono tanti e vanno seguiti con un'attenzione speciale e faticosa dal punto di vista tecnico.
La musica ha un'importanza fondamentale, è molto bella e efficace. A un certo punto sembra sottolineare un'atmosfera quasi western...
Quella scena effettivamente è stata voluta: è una citazione da “C'era una volta il west” di Sergio Leone. Sin dall'inizio delle riprese, avevo ben chiaro ciò che volevo dalla colonna sonora. Ho “provato” diversi autori, ma non mi convinse nessuno; in seguito ho incontrato Luca Schiavo, un musicista di Como, che, in genere, compone partiture per flamenco. La sua proposta era proprio quella che cercavo. E' stata inserita anche musica non originale, un brano di Bach, per esempio.
Un elemento evidente de “L'arbitro” è il lavoro collettivo di ottima professionalità; penso, per esempio, al montaggio di Alessio Santoni, che ha un curriculum di tutto rispetto.
Santoni ha montato con me il film, ma, soprattutto, si è dedicato a un'operazione spesso non considerata adeguatamente nella sua importanza, cioè il missaggio audio, che ne “L'arbitro” è essenziale. Abbiamo utilizzato, concluso il girato, suoni aggiuntivi, ne abbiamo enfatizzato altri. In questo senso, ho lavorato con professionisti seri.
La domanda più scontata: come si è sentito quando le hanno detto che aveva vinto un premio prestigioso come il David di Donatello?
Sono stato contentissimo, ovviamente, ma l'emozione più forte l'ho provata al Festival di Clermont, dove erano in concorso corti provenienti da tutto il mondo. Lì la vittoria è stata inaspettata e bellissima.