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Ebraismo - A. Matta

La rappresentazione del Nazismo a Hollywood

Cosa si sapeva a Hollywood sulla Shoah negli anni del Nazismo e prima della liberazione dei campi nazisti ? * di Alessandro Matta
 
''Nazi spy''Al principio  Hollywood si comporta nei confronti dei nazisti e della Germania in modo  opposto a quello di una avversione verso la dittatura nazista. Per tutti gli anni '10 e '20 la Germania per Hollywood significava  uno stato su cui poter contare per incrementare affari e produzione. Per questo motivo  nei primi anni '30 notiamo, nella cinematografia hollywoodiana, non solo un totale silenzio e nessun film relativo agli ebrei e a quanto sta iniziando a succedere in Germania, ma anche un totale assecondamento dei dictat nazisti nei confronti di Hollywood. E' ormai noto che nei primi anni '30, alla richiesta di alcuni capi nazisti rivolta a Hollywood di poter allontanare dagli studi cinematografici tedeschi attori ebrei americani che lavorano in Germania, i magnati di Hollywood obbediscano senza opporsi.
 
E ciò malgrado una buona parte dei produttori di Hollywood siano essi stessi ebrei di origine russa o polacca. La situazione comincia a subire un piccolo mutamento solo nel 1938, all'indomani della “Notte dei cristalli”. A seguito solo di questo evento, in America si inizia a intuire che  la politica nazista contro gli ebrei stia portando probabilmente a dei risultati drammatici dal punto di vista umano  e di conseguenza alcune case cinematografiche hollywoodiane iniziano a muoversi: la “Metro Goldwin Meyer” costituisce un vero e proprio comitato che si batte per il boicottaggio di prodotti tedeschi negli Usa, mentre i fratelli Warner, fondatori della “Warner Bros” ed ebrei, riescono, con  stratagemmi e cavilli burocratici, a far emigrare negli Usa tutti gli ebrei, che ancora vivono nel loro villaggio natio in Germania. Tuttavia, queste azioni risultano  essere minoritarie in quanto si scontrano sempre col muro dell'atteggiamento del governo Usa, in quegli anni ancora teso a restare neutrale  e a non schierarsi nè pro nè contro il Nazismo. Non è un caso, quindi, che bisognerà attendere un evento che farà scandalo nell'opinione pubblica americana per iniziare a parlare in film americani di nazisti. Nel 1939 avviene ciò: nella città di New York quell'anno si ha un grosso episodio che lascia l’opinione pubblica attonita. Nella grande mela sono individuate e arrestate dall’ “FBI” alcune spie naziste al soldo della Germania. L'episodio viene immediatamente considerato dalla “Warner Bros” come il soggetto di un film, il primo che parlerà di Nazismo ( non di ebrei!), si tratterà di “Confessioni di una spia nazista”  (Confessions of a nazi spy) di Anatole Litvak. Nel film E.G. Robinson nella parte di un severo, instancabile agente dell' “FBI” impegnato nell'identificazione della rete clandestina degli agitatori nazionalsocialisti negli Stati Uniti, in difesa della democrazia.
 
Fu, con due anni d'anticipo, la dichiarazione di guerra della “Warner Bros” contro la Germania nazista. In ogni modo, il film, nonostante riportasse un episodio reale avvenuto negli Stati Uniti, viene da molti neutralisti americani boicottato. C’ è da dire che nonostante si parli di nazismo e di Hitler nessuna menzione nella pellicola è fatta nè sulle leggi razziali nè sulla persecuzione legalizzata contro gli ebrei in atto, sia in Germania sia in tutti i paesi  occupati da Hitler. Hollywood è quindi ancora lontana dal parlare di “Shoah”. Bisognerà attendere il 1940 prima di vedere il primo film hollywoodiano che parli del Nazismo e di quanto sta accadendo in Germania, guarda caso, non sarà realizzato da Hollywood , ma da un regista e commediografo che fino a quel momento ha sempre prodotto tutti i suoi film da sè: Charlie Chaplin.
 
''Il grande dittatore''Si tratta de  “Il grande dittatore” (The great dictator) del 1940:  un barbiere ebreo è scambiato per Adenoid Hynkel, dittatore di Tomania, pronuncia un discorso umanitario. Satira penetrante e persino preveggente del nazifascismo in cui Charlot si sdoppia nel piccolo barbiere ebreo e nel dittatore Hynkel (Hitler): l'uno appare come l'immagine un po' sbiadita del vagabondo; l'altro ne è, per certi versi, il negativo. Primo film parlato di Chaplin. Da un dialogo ridotto all'essenziale (Charlot non può parlare) si passa, nel finale, all'invadenza della parola. Sequenze celebri: la rasatura al ritmo di una danza ungherese di Brahms; Hynkel che gioca col mappamondo; l'incontro tra Hynkel e Benzino Napaloni, dittatore di Bacteria. Anni dopo Chaplin espresse il suo dispiacere di averne fatto una commedia nella sua ingenua ignoranza di quel che veramente succedeva nella Germania nazista, ma  è, comunque, il primo film americano che abbia attaccato i Nazisti prima dell'entrata in guerra degli Usa ufficialmente, il primo film americano dove si nomineranno per la prima volta le parole: ebreo, ghetto, leggi razziali, campo di concentramento. Il film ha un successo clamoroso.
A ruota libera dopo il capolavoro di Chaplin, seguirà un altro film che cercherà di narrare quanto sta accadendo in Germania, non sotto l'ottica della commedia , ma sotto quella del dramma familiare e della storia d'amore. Si tratta di “Bufera mortale”  (The mortal storm) di Frank Borzage. Nel film, fatto passare come una storia d'amore e non di guerra per evitare censure e polemiche, si narra la disintegrazione di una famiglia tedesca, che fa capo a un docente universitario di origine ebraica, sposato in seconde nozze con una nobile, dopo l'avvento al potere di Hitler nel 1933. Tratto da un romanzo (1937) di Phyllis Bottome, chiude la trilogia tedesca dell'italo-americano Borzage (Borzaghi), formata da “E adesso, pover'uomo?” (1934) e “Tre camerati” (1938). Melodramma di propaganda antinazista, il primo prodotto da una major, indusse Goebbels a bandire dalla Germania i film della “M-G-M”. Pur puntato sui sentimenti privati più che sul dramma collettivo, è di una struggente autenticità, in linea con la pudica finezza del suo regista. Questi film, però, nonostante siano i primi a cercare di parlare di quanto stia accadendo in Europa  provocano censure. Quello stesso anno, si costituisce dentro Hollywood una commissione di censura presieduta da alcuni senatori, che arriva a considerare pellicole come quelle di Chaplin o di Litvak come “prove della presenza dentro Hollywood di un vero e proprio complotto giudaico-massonico, teso a far entrare gli Stati Uniti in guerra con la Germania”. Tra tutte queste censure, gira addirittura la voce che Goebbels in persona abbia telefonato al direttore della “MGM”, produttrice di “Bufera mortale” per lamentarsi della pellicola , arrivando perfino a dire che “molto presto ci occuperemo anche dei produttori di pellicole come quella”.
 
''Escape''Sembra  profilarsi a Hollywood una vera e propria censura. I film di guerra e sul Nazismo dovranno superare  il vaglio non solo della produzione, ma  anche dell'ufficio informazioni sulla guerra. I film di guerra che in questo periodo sforna Hollywood sono parecchi, ma  pochi di essi citano esplicitamente la Germania nazista o quanto accade nei lager  o ancor meno a quanto sta accadendo agli ebrei, e questo proprio quando nel 1941 inizia lo sterminio degli ebrei nell'Unione Sovietica, mediante le prime fucilazioni di massa! Quasi tutte le pellicole di guerra Usa di quegli anni si concentrano sulla Guerra nel Pacifico. Tra le poche pellicole in favore che parlino di lager nazisti e in favore di una apertura del “secondo fronte” in Europa spiccano: “Underground” (id.) di Vincent Shermann del 1941, misconosciuta pellicola dove si nominano anche alcuni lager; “La settima croce”(The seventh crux) di Fred Zinnemann del 1942, ambientato proprio in un lager tedesco; “Escape” (id.) di Mervyn Leroy, del 1941, dove un giovane, saputo della deportazione della madre (attrice ebreo tedesca che commette il grosso errore di fare ritorno nella Germania nazista dagli Usa negli anni '30)  in un lager, cerca disperatamente di salvarla; “Così finisce la nostra notte”  (So ends our night) di John Cromwell del 1941, trasposizione dell'omonima opera di Eirc Maria Remarque con protagonisti un SS e due ebrei in fuga dalla Germania nazista  e “Vogliamo vivere”  (To be or not to be) di Ernst Lubitsch (ebreo polacco all’epoca appena giunto negli Usa in fuga dal Nazismo), commedia ambientata a Varsavia negli anni del nazismo nella quale una compagnia di attori riesce a ingannare i nazisti aiutando la resistenza con trovate buffe, pellicola quest' ultima accusata però da molti di mancanza di buon gusto. Altre due pellicole spiccano per interesse e informazioni:  “Fuggiamo insieme” (Once upon a Honeymoon) di Leo McCarey e “Nessuno sfuggerà” (None shall escape ) di Andrè De Toth. La prima pellicola, del 1942, narra la storia di un giornalista americano che  si innamora di una donna, insieme, vengono scambiati per ebrei, vengono addirittura internati in un lager.  La seconda pellicola, invece , del 1944, è particolare: ambientata in “un futuro non precisato” nel quale la Germania ha perso la guerra, mostra un processo contro un criminale nazista polacco, durante il quale vengono ripercorsi tutti gli itinerari della sua carriera di assassino di migliaia di persone. In particolare, è degna di nota la scena in cui si ricorda un rastrellamento da lui condotto in uno Shtetl (villaggio ebraico) della Polonia. In questa scena, gli ebrei che stanno per essere caricati su carri merci destinazione sterminio, incitati dal rabbino a “morire con dignità”  si ribellano ai loro carnefici! Quindi non solo De Toth fa vedere cosa avverrà dopo la guerra con una specie di “processo di Norimberga”, ma addirittura, forse reduce dalle notizie fresche relative alle insurrezioni del ghetto e della città di Varsavia, il regista  parla di resistenza ebraica al Nazismo, un argomento quasi mai trattato nella cinematografia della Shoah (Hollywood inizierà a trattarlo negli anni '80 solamente).

* il presente articolo è uno stralcio tratto da un lavoro  sul cinema e la Shoah ( in due volumi:  uno dedicato al cinema americano e la Shoah e l'altro dedicato al cinema Europeo e la Shoah ) che Alessandro Matta   ha iniziato a redigere in queste settimane con l'intenzione  di pubblicarlo.