Percorso

Emmer: ritorno a Cuglieri

Il regista 91enne nei giorni scorsi a Cagliari per incontrare il pubblico svela qual è il paese dei suoi sogni. L'intervista a un grande maestro della cinematografia italiana.  di Elisabetta Randaccio

Luciano EmmerLe “luci leggere” (così recitava il titolo della rassegna svoltasi nei giorni scorsi a Cagliari al salone della Società Umanitaria-Cineteca Sarda) dell' arte di Luciano Emmer si sono spente il 4 giugno con l'incontro del pubblico con il grande regista di “Domenica d'agosto” (1950) e “Terza liceo”(1953), proiettati proprio a conclusione della manifestazione. L'incontro con gli spettatori è stato interessante, divertente e toccante, merito di un uomo straordinario per vitalità (ha novantuno anni, ma chi se ne rende conto?), acutezza intellettuale, ironia e disponibilità. In fondo, si può credere a ciò che ci ha confessato dopo cena, tra le vie di una Cagliari per lui sorprendente – non vi tornava da decenni, allora aveva visitato soprattutto il Castello, e l'ha definita assai simile a Barcellona – ovvero, “è stata una delle più belle serate della mia vita”, perché Emmer ha sentito chiaramente il calore e la stima del pubblico, che ha seguito con grande curiosità le proiezioni della rassegna a lui dedicata. Intervistarlo è stato un piacere unico e, nei suoi racconti, si percepisce la gioia di chi ha amato il cinema, pur con tutte le sue contraddizioni.

Emmer intervistato da Elisabetta RandaccioAbbiamo visto i provini che lei realizzò con Mastroianni e la Bosè per il film “La madre”, dal libro di Grazia Deledda, il cui trattamento aveva firmato con Sergio Amidei. Un testo, che, sin dagli anni quaranta, si voleva portare sul grande schermo; penso al desiderio, in questo senso, del critico Emilio Cecchi e, poi, a Monicelli il quale fu l'unico, seppure con forti varianti, a realizzarlo (“Proibito”, 1954).
Per prima cosa, mi interessava tornare in Sardegna e soprattutto in quello che consideravo il paese dei miei sogni, ovvero Cuglieri, dove avevo vissuto da bambino. Poi, sinceramente, il testo della Deledda in sé non mi coinvolgeva. Volevo girare una pellicola, dove la dimensione del sociale avesse forte rilevanza. L' elemento sentimentale e sessuale della storia d'amore tra un prete e una parrocchiana lo consideravo risibile. Avevo pensato a Don Paolo come a un prete che si vergognava di far l' omelia a gente misera, la quale per sopravvivere doveva compiere l'abigeato, frutto di un disagio sociale terribile.

Luciano EmmerPerché la sua versione della “Madre” non fu portata a termine?
Il mio produttore parlò con un rappresentante influente del Vaticano. Il problema non era la storia d'amore tra il sacerdote e la donna, ma proprio l' elemento di critica sociale. La censura ne impedì la realizzazione, ma, in fondo, era un testo che non mi convinceva e, forse, lo si può notare anche dai provini: infatti, il mio interesse era stato sempre rivolto a personaggi semplici, spontanei, quelli de “La madre” non lo sarebbero mai diventati.

I suoi documentari sull'arte sono sorprendenti, quello su Picasso è una testimonianza unica del rapporto tra creatività e artista...
Nelle prossime settimane, con il supporto della Cineteca di Bologna, uscirà un cofanetto di Dvd che raccoglierà i miei lavori sull'arte e, sempre a giorni, sarò ad Assisi, dove verrà riproposto il mio film su San Francesco, risalente ai primi anni quaranta. D' altronde, ho sempre pensato che Giotto, se avesse posseduto una macchina da presa, avrebbe realizzato un film con il materiale dipinto nella cappella degli Scrovegni. Quel docuemntario lo feci con apparati tecnici veramente limitati e i critici non apprezzarono, ma è un'opera che ha avuto, in seguito, tanti estimatori. I documentari sull'arte li ho “scelti” anche per sopravvivenza economica, ma sono state esperienze importanti. Con Picasso diventammo amici; l'incontro fu girato senza sceneggiatura, lui dipingeva “naturalmente” davanti a me. In realtà, era di una semplicità straordinaria.

Picasso visto da EmmerMa lo splendido dipinto prodotto davanti alla sua macchina da presa in “Incontro con Picasso”, veramente è stato fatto a pezzi da muratori distratti?
Sì, e quando a Barcellona venne inaugurata la mostra La pace e la guerra venne proiettato quel mio documentario, unica testimonianza di un capolavoro distrutto.

Parte della sua carriera è stata dedicata al film pubblicitario, come era inteso negli anni a cavallo tra i cinquanta e i sessanta: un vero “gioco” sui generi cinematografici, penso ad esempio al gruppo di spot Il californiano.
Dei “caroselli” ho sempre girato la parte “spettacolare”, per legge infatti il prodotto da lanciare doveva essere relegato alla fine per pochi secondi. Si trattava, dunque, di piccoli film. La serie del “Californiano” aveva la musica di Ennio Morricone e lo spirito di Sergio Leone. Per un mio notissimo “carosello” (“Ercolino” con Paolo Panelli) mi chiesero il permesso di trarne un film; il risultato, però, fu orribile; dissi a Panelli di ritirarlo dalla circolazione e di bruciarlo!

Lei, in questi ultimi anni ha continuato a realizzare lungometraggi con una vitalità invidiabile. Non sembra abbia intenzione di smettere la professione di regista.
Non riesco a stare fermo; la notte mi posso dedicare alla lettura. Ma il giorno? Se non sono sul set vengo preso dalla depressione.
Foto di Luca Portas
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