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"Ritorno a Brideshead" di Julian Jarrold

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''Ritorno a Brideshead''Una fontana magnifica situata in una tenuta ottecentesca inglese da favola, dove una possente statua di Atlante regge il mondo, sembra essere uno dei simbolismi maggiormente espliciti di , tratto dall'omonimo libro di Evelyn Waugh, firmato da Julian Jarrod e presentato lo scorso anno al festival di Locarno.

Il gigante di marmo che fatica a sostenere il globo terrestre pare uno specchio dell'anima di uno dei protagonisti del film, Sebastian, devastato dal senso di colpa, che non riesce a tollerare e che lo porterà lontano dai luoghi familiari - così apparentemente splendidi - e a diventare un alcolista patologico. E' la madre (Emma Thompson) la responsabile, seppure in buona fede, di questo dramma, comprendente il disagio esistenziale degli altri tre figli e l'allontanamento del marito. La sua pedagogia rigidamente cattolica (strano, siamo nell'Inghilterra anglicana), basata su un angosciante paura di essere malvagi davanti a Dio e, per estensione, davanti alla famiglia e alla società ha messo in crisi le identità dei suoi cari e ne ha complicato i rapporti. Sebastian è omosessuale; essendo aristocratico e ricco potrebbe evitare emarginazioni e rifiuti, anche perchè l'universo vittoriano grondava d'ipocrisia e la classe nobiliare, in disfacimento, tentava un ultima, disperata difesa dai mutamenti culturali in atto. Ma Sebastian, che porta con sé il suo orsacchiotto spelacchiato - indizio del suo blocco allo stadio infantile -, non reggerà ai pedinamenti familiari, alla sopportazione della sua diversità, per cui la fuga, l'autolesionismo, la malattia gli appariranno, ancora una volta, come punizioni divine.

“Ritorno a Brideshead”Il personaggio del giovane, interpretato da Ben Whishaw, è il più interessante di un film che parte bene e intriga, anche perchè così ossessivamente indirizzato alla ricostruzione di un'epoca nella scenografia, nelle tinte, negli oggetti, ma, nella seconda parte, tende a deteriorarsi come le esistenze dei personaggi che descrive. Le vicissitudini della sorella di Sebastian, dell'amico pittore, della matriarca, del genero, persino il destino della affascinante villa di Bridshead rimangono sfuocati, poco chiariti, seppure senza un tocco di inquietante mistero. La religione come salvezza o inferno, argomento senz'altro rilevante nella dinamica della storia, rimane in sottofondo, a tratti in maniera fastidiosa.
Però, in settimane in cui nei cinema quel che si può trovare è un'indigestione sempre più insopportabile di sequel, di film di genere malamente rifatti, di commedie sui singol e sulle notti di addio al celibato, “Ritorno a Brideshead” ha un suo fascino, una sua coerenza all'interno del contemporaneo cinema inglese, da valere una serata nelle deserte sale estive.