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Film Consiglio

"Sherlock Holmes" di Guy Ritchie

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''Sherlock Holmes'' locandinaA Londra al 221 di Baker Street si trova un museo assai particolare: l’appartamento di Sherlock Holmes. E’ ricavato all'interno di un palazzo risalente ai primi dell’ Ottocento, utilizzato, in quel secolo, come pensione privata. Un po’ angusto, ma assai affascinante; gli oggetti polverosi, le lettere, gli abiti: i visitatori possono immergersi nell'universo di uno scapolo dell’era vittoriana con la passione per la detection.

Ovviamente, si tratta non di un personaggio storico, ma puramente letterario e l’idea di chi gestisce il museo è stata geniale, anche perché a quell’indirizzo arrivano ancora lettere da svariate nazioni, come succede per Giulietta a Verona o per Babbo Natale. Tutto questo ci mostra quanto l'investigatore creato da Arthur Conan Doyle, nel 1887, sia una delle figure letterarie popolari più famose nel mondo. Il suo autore lo aveva pensato come un investimento di tipo commerciale; avrebbe voluto la fama, infatti, per i suoi noiosissimi romanzi storici, invece Sherlock Holmes ebbe un successo immediato e universale e, conseguentemente, furono create innumerevoli trascrizioni teatrali e cinematografiche, sin dal tempo del muto.

''Sherlock Holmes''Riprendere nel terzo millennio il personaggio del detective positivista voleva dire cercare di trovare spunti nuovi per riuscire ad appassionare il pubblico contemporaneo. A Guy Ritchie, discontinuo regista inglese (“Lock e stock”, 1998,  “Rockenrolla”, 2008), ma di talento, è stato affidato questo compito con un bel budget a disposizione. Ha risolto il problema della fedeltà o no al cosiddetto canone holmesiano, lavorando sul personaggio come icona stratificata soprattutto cinematograficamente. I rimandi nel suo film ad altre pellicole sono continui: “Butch Cassidy” (sia per il rapporto di complicità ironica e vagamente ambigua tra Sherlock e Watson, ma pure per alcune inquadrature direttamente riferite al film di Roy Hill), ovviamente Indiana Jones e tutti i suoi emuli e, come in una continua mutazione, ogni Holmes rappresentato sullo schermo, persino quello giovanile di “Piramide di Paura” (1985, regia di Barry Levinson) a cui rimanda la setta segreta che svolge i suoi macabri riti nei sotterranei della fumosa Londra, quella (letterariamente) del Dr Jekyll e di Dorian Gray e (storicamente) di Jack lo Squartatore.
 
''Sherlock Holmes''In questo senso, l’idea geniale è la figura del cattivo: Lord Blackwood, una contaminazione tra Goebbles e Nosferatu di sicura efficacia. E se il “politically correct” censura la tossicodipendenza da cocaina dell’investigatore più celebre del mondo, l’avere a disposizione un attore mirabile come Robert Downey jr. – ma il doppiaggio non rende a dovere le sue capacità interpretative – permette al regista di accentuare le ossessioni quasi patologiche del suo personaggio. Così, certi sguardi in macchina di Downey-Holmes sono fulminee finestre su un inconscio scisso e su una insanabile malinconia. Anzi, più degli effetti speciali, a metà tra il mirabolante (la scena sul Tower Bridge in costruzione) e il quadro cartonato teatrale, è proprio nell’accennato lato oscuro del detective, uno degli elementi di fascino di un film, il quale non perde un colpo e si pone senza un attimo di tregua per lo spettatore. Intelligente e divertente.