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"Avatar" di James Cameron

Il consiglio di Elisabetta Randaccio
 
''Avatar'' locandinaIl peccato originale degli Stati Uniti, ovvero lo sterminio dei nativi americani, sembra un trauma non sanabile né con il tentativo di risolvere i disastri perpetrati né con la rimozione tendente, come conseguenza, a reiterare con violenza l'imposizione della propria cultura.
Nella Hollywood rinnovata degli anni settanta era la proposizione di western atipici la metafora narrativa evocante invasioni e stragi in quel momento contemporanee (si pensi alla devastazione finale di "Soldato blu", 1970, di Ralph Nelson, che associò agli spettatori quelle avvenute in Vietnam); proprio nello specifico genere cinematografico dell'industria americana, gli autori riuscivano a ragionare delle contraddizioni del presente. "Avatar" di James Cameron, arrivato dopo tanti anni dai trionfi di "Titanic" (1997), prende vita anch'esso dalle suggestioni angoscianti dei nostri giorni, nonostante l'ambientazione situata in un lontano futuro, come vuole la cosiddetta fantascienza, genere spurio dove, sia sul grande schermo sia in letteratura, si è usata la distanza temporale per raccontare società e personaggi speculari all'attualità.
In "Avatar" il pianeta Pandora è un paradiso perduto, ma, soprattutto per i terrestri, il cui luogo d'origine è depauperato e vicino al collasso, è la nuova frontiera da conquistare, da sfruttare, da modellare. La solita tecnica di avvicinamento sembra non funzionare e, dunque, ecco l'uso di un infiltrato, Jack Sully, marine rimasto mutilato in una missione rischiosa e fratello di un esimio scienziato.
 
''Avatar''E' il pezzo di carne (così viene chiamato dall'ottuso comandante dei mercenari stanziati a Pandora) destinato a diventare un Avatar, mente in un corpo virtuale pensato per essere una spia degli alieni, per fare rapporto sulle loro forze, i loro costumi, le loro debolezze. Ma Jack, ritrovata la gioia di poter correre e combattere, si fa affascinare da un mondo misterioso, quasi fatato, alternativo rispetto alla materialità e alla razionalità a tutti costi. La prima parte del film ricorda, così,  i western  rovesciati (pensiamo a "Un uomo chiamato cavallo", 1970, di Elliott Silverstein o a "Corvo rosso" non avrai il mio scalpo di Sidney Pollack, 1972,  solo per fare qualche esempio) dove i bianchi, abbandonata la presunzione, scoprono la tolleranza e, magari, l'amore. Più interessante il secondo blocco narrativo con l'approfondimento dei personaggi, mai manichei, e l'inevitabile e spettacolare scontro.

''Avatar''Insomma, se la magia tecnica, il 3D pensato per la meraviglia dello spettatore, la fantasia nell'immaginare una flora e una fauna credibile, per quanto sconosciuta -ma gli animali ricordano alcuni scheletri preistorici presenti nei maggiori Musei di Storia Naturale-e una lingua nativa arrivano con piacere di primo impatto al pubblico, "Avatar" è un film complesso, dove filosofia, politica, antropologia e religione, hanno uno spazio fondamentale e dimostrano che si può riflettere attraverso anche la scatenata creatività tecnica, senza un istante di noia.

Tutte le polemiche sul moloch fracassone si sciolgono di fronte a un'opera potente,  mette a disagio intransigenti e militaristi, proibito in Cina, secondo le ultime agenzie, ma pronto, non solo a cogliere un successo comunque annunciato, a influenzare sicuramente il modo di pensare il cinema, senza annullarne l'anima. Per chi, poi, aveva nostalgia della Ripley, coraggiosa e affascinante, di Alien (uno dei sequel, peraltro, fu firmato dallo stesso Cameron), ritroverà Sigourney Weaver in un ruolo altrettanto memorabile.
 
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