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“Il concerto” di Radu Mihaileanu

di Alessandra Menesini
 
''Il concerto'' locandina
Con Alexei Guskov, Mélanie Laurent. Son tutte dentro gli occhi di Andrei Filipov, le note del concerto n.35 di Tchaikovsky. E nelle sue mani di ex direttore d’orchestra epurato dagli apparati di Breznev e declassato a uomo delle pulizie al Bolshoi. E’ un fax sgusciato nottetempo, a distoglierlo dagli stracci per la polvere e a farli concepire un piano che potrebbe ancora, per una volta sola, fargli riprendere tra le dita la sua bacchetta spezzata.
Il messaggio è del Teatro Châtelet di Parigi: vogliono l’orchestra, per una data unica, a qualsiasi condizione. Hanno molta fretta, c’è un buco nel programma. Andremo noi, decide il timido Filipov. Metterà insieme gli orchestrali, gli stessi di un tempo, li andrà a chiamare uno per uno anche se adesso, come lui, fanno i più disparati e malpagati mestieri. Li cerca per tutta Mosca, convincendoli  ad aderire a un progetto impossibile. Non hanno soldi, non hanno visti per l’espatrio, molti si sono pure venduti gli strumenti. A finanziare la trasferta sarà un ricchissimo mafioso strimpellatore di violoncello, un plutocrate che tiene al suo supposto talento più che ai veri affari proposti dall’anziana madre (che gli consiglia piuttosto di impiegare quei soldi per comprare una squadra di calcio).
 
''Il concerto''Storia di passione e  di riscossa, nel film che  Radu Mihaileanu intitola semplicemente “Il concerto”. Pellicola che il primo giorno di programmazione al Cineword di Cagliari ha visto in sala solo una decina di persone che hanno condiviso  risate (molte) e lacrime finali. Non c’è nulla di epico nello sguardo del regista e nelle belle facce dei suoi attori. I russi in trasferta a Parigi  si ubriacano e saltano le prove, si disperdono con allegria nelle strade della città, non conoscono la puntualità. Il primo violino è uno zingaro che fabbrica passaporti falsi e si sposta con mezza tribù appresso. I due ebrei, padre e figlio, smerciano scatole di caviale, o qualsiasi altra merce, rispondendo al prototipo del giudeo traffichino. Eppure, la rovina di quel grande direttore fu causata proprio dal  suo rifiuto d’allontanare gli ebrei dall’orchestra. Radu Mihailenau è rumeno con sangue gitano ed è figlio di un giornalista comunista perseguitato dal regime di Ceausescu.
 
''Il concerto''Racconta tragedie vere, come ha già fatto con "Train de Vie", attraverso protagonisti che nel buio ritrovano  la  loro anima intatta. Qui è la musica a sanare fratture apparentemente invalicabili,  a ridare coesione e dignità alle persone.  Con addosso gli abiti scuri, le scarpe lucide, le camicie bianche, i musicisti  eseguono il loro pezzo non pensando ancora di essersi salvati.
Ma suonano, con la convinzione degli artisti. Sarà un trionfo, nonostante i critici maldisposti  e un pubblico difficile e l’iniziale rifiuto della bionda famosa  solista (la pensierosa e delicata Mèlanie Laurent) ad accompagnare quella che, più che un’orchestra, le sembra una banda di sgangherati selvaggi dell’est.
 
''Il concerto''La violinista non ha mai suonato Tchaikovsky. Non sa perché. Conosce sin da bambina (orfana di padre e madre) il nome di quel direttore moscovita che non dirige da  decenni  ed è  divenuto una leggenda. Ma è una professionista, lei, il suo è un violino d’oro. E Andrei Filipov (un meraviglioso Alexei Guskov) le fa discorsi strani, parla di un passato che somiglia a un incubo, anzi a una minaccia.
Lui, uomo mite, sa bene  di essere solo un impostore, uno che spaccia il suo gruppo per l’ensemble del Bolshoi.  Tentenna, dubita, riflette, beve molta vodka. Ma poi sale sul podio. E l’inganno  scompare, scompare ogni mistero. Rimane, anche negli spettatori, la sensazione balsamica di un’armonia che non è solo quella dello spartito.
 
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