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Film Consiglio

"L'uomo che verrà" di Giorgio Diritti

Il consiglio di Elisabetta Randaccio
 
''L'uomo che verrà'' locandinaDai villaggi di Monte Sole si potevano vedere, nei duri giorni del 1944, i bagliori dei bombardamenti su Bologna, uno strano spettacolo lontano e colorato che sapeva di morte. Nella campagna non si stava meglio della città: miseria, freddo, paura, fame, il paese attraversato dai nazisti per rastrellare cibo o percorso dai partigiani originari dei villaggi. Dall'alto, ogni tanto, ondeggiavano i paracadute alleati: uomini o mezzi per supportare la Resistenza. La natura sembrava ignorare il lutto o il dolore ed ecco la neve-coperta di un inverno interminabile- e il verde accecante della primavera. Sopravvivere vuol dire tentare di mantenere i propri riti e i propri affetti. Dunque, ci si può ancora riunire in una stalla a raccontarsi a lume di candela, tutti insieme, di quando i nonni andavano in Sardegna (tra i briganti) a tagliare gli alberi oppure seguire gli istinti dell'amore. Infatti, con un abbraccio intimo intuito sotto una coperta lisa, inizia "L'uomo che verrà" di Giorgio Diritti, opera seconda di un regista cinquantenne che si pone agli antipodi delle tendenze contenutistico-estetiche del cinema italiano di quest'ultima penosa stagione.

''L'uomo che verrà''Diritti descrive un mondo perduto (nella lingua, nei costumi, nella mentalità), come hanno detto in tanti, usando il paradigma del racconto onirico-fiabesco, che, però, non tralascia l'evocazione realistica perseguita nella scelta dei volti (contaminando attori già noti molto bravi con altrettanto convincenti non professionisti), degli oggetti, delle location. Si parla di orrore e morte, si racconta una strage terribile (quella di Marzabotto, 28-29 settembre 1944) tralasciando i particolari più efferati che la caratterizzarono, ma non per questo il raccapriccio appare minore. Come capitava in alcuni capolavori dei fratelli Taviani (si può pensare ad "Allosanfan",1974, o alla "Notte di San Lorenzo", 1982, riferimento filmico sicuro di "L'uomo che verrà"), la Storia è vista attraverso gli occhi di una bambina, già vittima di un trauma (non parla da quando le è morto tra le braccia il fratellino neonato), che osserva gli avvenimenti con curiosità, terrore, pietà. Sembra impotente, ma non lo è, perché ha una capacità di reazione inusuale: si libera dalle mani di un vecchio tentato dalla libidine, sopravvive sotto un mucchio di cadaveri ancora freschi di insensata fucilazione, salva il nuovo fratellino, l'uomo che verrà il cui futuro (potrà pensare lo spettatore) sarà quello di attraversare la fine del Novecento in un paese totalmente diverso connotato da speranze e da delusioni epocali.

''L'uomo che verrà''L'attenzione al suono accentua ancora di più l'eredità di Diritti dai Taviani: le parole <antiche> non sono un mero recupero filologico, ma musicale fluire di particolari caratteriali dei personaggi messi in scena; la colonna sonora  non amata dai critici, pur sostenitori del film, invece è potente ritmo dell'angoscia di chi non può emettere i suoni, come capita in certi incubi.

Il regista, insomma, prosegue un suo percorso interessante iniziato con il "Vento" fa il suo giro (2005) con un'opera affascinante, che, come il suo precedente film, nonostante le carenze distributive, sta dimostrando longevità, perché gli spettatori riempiono le piccole sale e hanno dato la possibilità con il loro consenso di stampare più copie del film per permettergli di avere maggiore visibilità, dimostrando quanto non sia scontato l'adattamento alla imposta consumazione del brutto e del volgare.