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Film Consiglio

“Crazy Heart” di Scott Cooper

Il consiglio di Elisabetta Randaccio
 
''Crazy Heart'' locandinaLa definizione più cattiva su “Crazy Heart” dell'esordiente Scott Cooper l'ha elaborata Maurizio Porro sul “Corriere della sera”: “E' “The Wrestler” con la chitarra”. Tenuto conto che, ormai, sulle pagine dei grandi quotidiani, le recensioni sono a stento tollerate, i giornalisti cinematografici hanno tutto il diritto di sbrigarsela con sapide battute sintetiche, in questo caso facendo di tutti i film un fascio. O meglio, la storia di “Crazy heart” ha in comune con la bella pellicola interpretata da Mickey Rourke, il disegno di un perdente. Ma quale è la letteratura e il cinema nordamericano che ci piace di più? Quello delle eroine con la patologia dello shopping o quello dove si racconta (da Steinbeck a Keruac, da London a Roth e, poi, le buone annate dell'on the road anni settanta con i primi successi di Spielberg -chi se lo ricorda il fantastico “Sugarland express”, 1974? - Rafelson, Fonda, Schatzberg....) l'America dei sogni perduti due volte, della provincia e dei deserti, quella meno impreziosita dalle mille luci delle metropoli e pateticamente fissata in uno strisciante cattivo gusto estetico e culinario?
 
''Crazy Heart''Ci divertiamo maggiormente alle commedie demenziali dei “nuovi comici” o al gusto (assaporato tante volte come un dolce veleno) di vedere sullo schermo l'artista fallito pronto a esibirsi per un ridicolo cachet nei locali di bowling, gonfio di wiskey e di incoscienza? Ovviamente la scelta è chiara: meglio la tonalità autunnale e realistica che il brillio di un mondo, peraltro, economicamente in caduta libera.

Dunque, godiamoci il suonatore di country (anche se, per alcuni, tale musica può essere insopportabile) sfatto e sulla via del tramonto, i suoi brevi incontri, i suoi  tardivi sensi di colpa, la sua macchina fatiscente lungo le strade assolate tra l'Arizona e il Texas, dove puoi non incontrare un veicolo per chilometri (un paesaggio e una luce indimenticabili per chi vi è stato), la sua voce stiracchiata, le sue puzzolenti sbronze.
 
''Crazy Heart''Lui è stato “il cow-boy” dell'amore, il più grande paroliere di country, lui era “Bad Blake”, mentre ora, non a caso, le folle gli preferiscono il giovane allievo, anch'esso dal nomen-omen: “Tommy Sweet”, una sorta di Gigi D'Alessio con chitarrone, interpretato da Colin Farrell finalmente in forma. Il romanzo da cui è tratto il film, firmato da Thomas Cobb, offre a questo “loser” tipico una mezza occasione di rivincita, compreso una sorta di rapporto sentimentale con una casalinga-giornalista insopportabile (Maggie Gyllenhaal), divorziata e madre di un bambino. Ma Bad non è nato per fare il padre e, un giorno, arriva pure a smarrire il ragazzino in un centro commerciale, perché, lui, alcolista, si ubriaca in fretta e male (questa scena è una delle migliori di “Crazy heart”).

''Crazy Heart''Inoltre, non avremo pensato né amato tale personaggio se non fosse stato “vissuto” da Jeff Bridges, un attore dalla carriera discontinua, indimenticabile “Drugo” nel “Grande Lebowski” (1998) dei fratelli Coen. E se l'Oscar per miglior protagonista, forse, lo meritava il personaggio sfumato, recitato con raffinatezza da George Clooney in “"Tra le nuvole", Bridges riesce a “mangiarsi” il film dandoci grandi soddisfazioni. Usciamo dalla sala con la giusta dose di malinconia e di vecchio sogno dell' “altra America”, di nuovo in auge nel mezzo del crollo dell'impero. Semmai, riflettiamo amaramente come neppure il prestigio di un premio come l'”Academy Award” riesca a promuovere decentemente una pellicola, relegandola a distribuzioni di nicchia, frettolose e kamikaze. Che tristezza!