Joe D’Amato: il cinema che non c’è più
La parola “genere” è quella che ritorna più spesso quando si parla di questo “Roger Corman italiano” perché con estrema naturalezza D’Amato ha attraversato, contaminandoli vicendevolmente, i più disparati generi cinematografici: Il western (“Scansati…a Trinità arriva Eldorado”; “Giubbe rosse”); La Commedia boccaccesca meglio nota come “decamerotico”, un genere nato sulla scia della ”trilogia della vita” di Pierpaolo Pasolini (“Decameron”, “ I racconti di Canterbury”, “Il fiore delle Mille e una notte”) con pellicole dai titoli amicanti: “Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e mariti penitenti”, “Novelle licenziose di vergini vogliose”; i film di guerra come “Eroi all'inferno”, e per non farsi mancare niente, anche il peplum con “La rivolta delle gladiatrici”, prodotto da Roger Corman; l’horror, a volte splatter, a volte alla maniera “argentiana” che andava tanto di moda in quel periodo: “La morte ha sorriso all’assassino” con la presenza delirante di Klaus Kinsk; “Buio omega” e “Antropophagus”, grazie ai quali il nostro cinema di genere sarà apprezzato in tutto il resto del mondo anche per alcune scene tutt’oggi molto forti, come quella in cui il “mostro” strappa il feto, per poi divorarlo, dalla pancia di una giovane e irriconoscibile Serena Grandi.
Citazione della settimana: "Tutti i film sono fatti per guadagnare soldi, anche quelli di Fellini o di Bergman. Il cosiddetto cinema d'autore non esisterebbe se non ci fosse un piccolo segmento di pubblico disposto a pagare per andarlo a vedere". (Samuel L. Broncowitz)
Qua un divertente scorcio di un’intervista a Joe D’Amato