Tutti gli incubi di Lars
Un psicologo (Eugenio Mangia) e un regista tra i più visionari del panorama internazionale (Lars Von Trier). Schermi Rubati ha scelto davvero una forma insolita per caratterizzare la rassegna dedicata al celebre regista danese in scena alla Cineteca fino al 27 giugno. di Enrica Anedda

L’inizio della manifestazione sembra avere già suscitato un rilevante interesse nel pubblico, come si evince dal fatto che gli spettatori intervenuti hanno completamente riempito la piccola sala della Cineteca Sarda e che ad accogliere la presentazione da parte di Massimiliano Cao ed Eugenio Mangia sia stato alla fine un lungo e caloroso applauso. Per quanto riguarda i motivi della scelta di dare un taglio psicologico ad una rassegna di cinema abbiamo rivolto alcune domande al dott. Mangia per coglierne alcune delle ragioni di fondo.

In realtà l’idea di dare un taglio psicologico/psicoanalitico a questa rassegna su Lars von Trier è nata un po’ per caso, nel corso di un’appassionante e vivace discussione con Massimilano Cao e Eugenio Dessy. Ripercorrendo le tappe della produzione artistica di Von Trier ci siamo infatti accorti di come una serie di tematiche, che negli anni avevano rappresentato una costante della sua opera, manifestassero una spiccata valenza psicologica e di come il suo fare cinema possa essere in fondo considerato una sorta di volontà di dare corpo ed espressione ai fantasmi derivanti da un profondo disagio interiore.
A testimonianza di ciò, può essere utile ricordare come sia stato lo stesso Von Trier a dichiarare, nel corso di un’intervista, di essere afflitto da molte fobie di genere diverso (viaggia solo in auto o in treni di una determinata compagnia, ogni anno attraversa l’Europa in camper per recarsi al Festival di Cannes, non viaggia in aereo, è ipocondriaco e da sempre convinto di avere qualche tipo di cancro o tumore) e di considerare l’attività artistica come un elemento indispensabile per potere “esistere” e “sopravvivere”.

In primo luogo, come viene peraltro suggerito nello stesso titolo della rassegna, il tema delle “oppressioni”. In particolare si può rilevare come tale tema percorra trasversalmente l’intera produzione del regista danese; basti pensare alla provocazione rivolta al conformismo conservatore e borghese contenuta nel film Idioti, o alle oppressioni che vengono operate dalle istituzioni di vario genere ("Epidemic", "Il regno", "Il grande capo"), dalla dottrina religiosa ("Le onde del destino", "Antichrist"), dalla schiavitù ("Manderlay"), dalla famiglia (tematica presente in molti dei suoi film).
Un discorso a parte merita invece il tema dell’oppressione provocata dal vissuto della “colpa”. Ciò perché tale problematica è presente nella sua filmografia in alcune delle sue diverse declinazioni: la “coscienza della colpa” (che è legata all’accadere di un evento specifico e che si evidenzia nei film "Dancer in the dark" e "Antichrist)", il “senso di colpa” ed il “senso del peccato” (entrambi presenti nel film Le onde del destino e che sono in relazione alla presenza di una rigida istanza superegoica nel primo caso, e al rapporto con l’Altro-Dio, nel secondo).

Durante la presentazione della rassegna lei ha indicato alcuni legami molto forti fra la biografia del regista e la sua necessità di porsi continuamente delle regole per poi infrangerle e cominciare da capo. Quali sono?
Sì è vero, Von Trier nel 1995 insieme ad un gruppo di altri giovani colleghi da’ vita a “Dogma 95”, un manifesto che si concretizza in dieci chiare e precise regole cui i registi che vogliono aderirvi devono attenersi nel loro lavoro, successivamente elabora il “Progetto Open Film Town”, poi detta le regole di “Defocus” e ancora, nel 2001, quelle del manifesto documentaristico del “Dogumentary”. Come ho cercato di mettere in evidenza nel corso della presentazione della rassegna, questa particolare esigenza di costruire e darsi continuamente delle regole può trovare una spiegazione in alcuni aspetti di natura psicologica che hanno caratterizzato la sua infanzia.

Fino agli undici anni frequenta il Lundtolfe, un istituto scolastico dai metodi estremamente autoritari, e quando prova a discutere con i genitori le difficoltà che incontra ad adattarsi ad uno stile educativo così rigido, essi gli rispondono di non capire come mai egli sia disposto a subire le imposizioni da parte degli insegnanti, piuttosto che alzarsi dal banco e andarsene. Appare particolarmente significativo, e fa’ anche una certa tenerezza, ricordare a questo proposito come nel corso di un’intervista, Von Trier si sia spinto ad affermare come egli ritenga l’autorità: una particolare forma di amore.
Ma, a completare il quadro di una “perfetta” patologia familiare, l’episodio accaduto nel 1990 quando, in punto di morte, la madre gli rivelerà che Ulf in realtà non è il suo padre biologico e di avere scelto per il suo concepimento un altro uomo, la cui famiglia era particolarmente dotata di talento artistico ed espressivo. Lars scopre così con dolore, non solo di non avere quel sangue ebreo cui tanto aveva tenuto fino a quel momento, ma che la madre, pur avendolo educato ai valori di sincerità e trasparenza, in realtà gli aveva da sempre mentito.
