Stampa

Il maestro dei pugni in tasca

A Cagliari la Società Umanitaria-Cineteca sarda dedica un'importante retrospettiva a Marco Bellocchio, maestro de "I pugni in tasca". In attesa di un faccia a faccia col regista ecco una carrellata dei film che ci hanno lasciato un segno sulla pelle. di Elisabetta Randaccio

''I pugni in tasca''Il suo esordio, nel 1965, con “I pugni in tasca” fu di grande impatto cinematografico, sociale, politico. Il “piccolo film”, completato con i propri soldi, ambientato nella bassa Padana, descriveva una famiglia piccolo borghese, esemplarmente “mostruosa”, frutto di un connubio perverso di trasformazioni economiche e patologie mentali.
“I pugni in tasca”, scritto e diretto prima dei mutamenti epocali del 1968, è ancora vissuto come il film rappresentativo di quel periodo storico, soprattutto per la carica provocatoria e spietata del suo contenuto, ma anche per un modo di girare inedito nel cinema italiano: pensiamo all’uso della colonna sonora o ai “crudeli” primi piani, che rivelano l’anima dei personaggi e le loro schizofrenie. Altro elemento, rimasto costante nella filmografia di Marco Bellocchio, è l’attenzione alla performance attoriale.
 
Marco BellocchioNe “I pugni in tasca”, per esempio, Lou Castel è una rivelazione, destinato a diventare un’icona del cinema d’impegno sociale, e Paola Pitagora, la coprotagonista, mostra una grinta unica, spiazzando gli spettatori, i quali l’avevano identificata esageratamente nella patetica Lucia dei “Promessi sposi” televisivi di Sandro Bolchi.
Da quel momento, la carriera dell’artista piacentino si svolgerà in maniera particolare, tra successi, scandali, riconoscimenti, momenti in cui sembrò sovrapporsi, alla creatività del regista, la crisi della società e del cinema italiano. Rimane un caso il “basagliano” “Matti da slegare” (1975, opera collettiva, purtroppo girata con mezzi “poveri”) testimonianza di un modo differente di affrontare la malattia mentale e la “diversità” sociale, che, se non ebbe una distribuzione decente in sala, fu visto, provocando animati dibattiti, nei circoli del cinema, nelle associazioni, nei consultori, un film che aiutò gli italiani a crescere.

''Il gabbiano''Marco Bellocchio lavorò  anche per la televisione (da ricordare almeno lo splendido “Gabbiano”, 1977, tratto da Cechov, di cui si sottolineano i forti contrasti generazionali presenti nell’opera dello scrittore russo) e proseguì, poi, il suo percorso filmico con il discusso sodalizio con lo psicanalista Massimo Fagioli con cui “firmò” le sceneggiature di alcune pellicole che suscitarono pareri critici contraddittori (“Il sogno della farfalla”, “Orso d’oro” a Berlino nel 1994, “La condanna”, 1990). La maturità di Bellocchio, invece, si esprime in pellicole belle, di alto livello formale e sostenute da sceneggiature ben elaborate. Così nascono “La balia”, 1996 (tratta liberamente da una novella di Pirandello, scrittore di cui, nel 1984, aveva trascritto una interessante versione di “Enrico IV”), “Buongiorno notte” (si ricordino i fischi del pubblico per il mancato Leone d’oro a Venezia 2003), “L’ora di religione”(2002),  “Il regista di matrimoni”, 2005, fino a “Vincere” sulla tragica vicenda di Ida Dalser, moglie ripudiata di Mussolini e del di lei figlio, ambedue “cancellati” dalla Storia e morti in manicomio, finché un accurato documentario di Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli (“Il segreto di Mussolini”, 2005) riportò in auge la loro incredibile vicenda, ispirando il bel film di Bellocchio, presentato l’anno scorso al Festival di Cannes.

''La condanna''A questo regista così  sorprendente e di grande spessore, la Società-Umanitaria-Cineteca Sarda, supportata dal Comune di Cagliari, dedica una retrospettiva importante. Non comprende l’opera omnia di Bellocchio, ma, scegliendo i suoi film meno frequentati ed alcuni tra i più controversi, chiede allo spettatore di ripensare un percorso artistico, tenendo la giusta distanza dalle sovrastrutture del tempo in cui furono girati, di riflettere su pellicole superficialmente analizzate o troppo gravate da significati politici. I curatori Antonello Zanda e Gianni Olla hanno sicuramente compiuto un’opzione intelligente, che va oltre la piattezza di alcune rassegne, le quali, a volte, vengono svuotate dal piacere di una nuova visione con, magari, differente giudizio finale.
 
Bellocchio al lavoroAi film saranno, come di consueto, abbinati approfondimenti con esperti come Paola Malanga (venerdì 16 aprile prima della proiezione de “La Cina è vicina”) e critici cinematografici. Il 7 maggio, poi, a concludere la manifestazione, presenzierà lo stesso Bellocchio accompagnato dal giornalista Enrico Magrelli. Un incontro da non perdere per il pubblico sempre numeroso della Cineteca, a cui verrà data la possibilità di porre questioni  e osservazioni al regista, dopo aver percorso per un mese i sogni e gli incubi di un cineasta che, non disdegnando la tecnica raffinata e pure la spettacolarizzazione, ha con coerenza, tentato di usare la sua arte per ribadire la giusta forza del dubbio.