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Sguardi cinematografici per Sant’Efisio

Il santo nell'iconografia cinematografica dell'isola. In occasione della festa sono ben tre le pellicole per rivivere la magia di un'esperienza spirituale tra le più sentite della Sardegna. In compagnia di Cabiddu, Anedda e Mossa. di Salvatore Pinna

Sant'EfisioL’imminenza della 354ª sagra di Sant’Efisio offre l’occasione per invogliare chi vi assisterà dai bordi della sfilata o da casa, attraverso le dirette televisive, a vivere l’esperienza della visione dei più significativi documentari sull’evento girati dagli anni Ottanta ad oggi.

Quello che si propone è un breve viaggio in compagnia dei registi Gianfranco Cabiddu, Marina Anedda e Maria Piera Mossa. I loro film, facilmente reperibili nei vari archivi della Sardegna, offrono delle chiavi di lettura diverse e significative per la comprensione del rapporto che lega Efisio all’Isola e a Cagliari in particolare. Accomuna questi registi l’esigenza di rivitalizzare tale rapporto a partire dal rinnovamento dello sguardo, dalla sua emancipazione dai luoghi comuni con cui anche il linguaggio delle immagini si tramuta in ideologia.
“Efis, martiri gloriosu” (2000) di Gianfranco Cabiddu, pensato come un film etnografico su una delle grandi feste religiose in Sardegna, è il più grandioso film “popolare” su Sant’Efisio. La narrazione fluisce direttamente dalle parole e dalle rievocazioni di numerosi testimoni.

Gianfranco CabidduEssi sono il sacrestano maggiore, il guardiano, l’Alternos, i confratelli e le consorelle le cui parole raccontano le personali devozioni, la divisione dei compiti tra le varie confraternite e le piccole beghe che ne derivano; sono le autorità religiose, le famiglie dei nobili cui è tradizionalmente affidata la cura del Santo; sono i fedeli dei paesi raggiunti dal simulacro nel suo pellegrinaggio, tutti depositari di una loro speciale familiarità col Santo. Vi sono raccontati la biografia di Efisio e le antiche vicende che hanno portato alla sua elezione a patrono. C’è persino il racconto della stratificazione sociale delle devozioni, quello che Efisio rappresenta per la borghesia, per il popolo e per la nobiltà che in questa occasione ritorna ad assumere l’antico prestigio.
Il documentario di Cabiddu non trascura nessun aspetto della festa perché  nella chiave antropologica del film tutto è importante dalle regole del protocollo festivo spiegate con compunzione da un elegante cerimoniere al punto di vista del medico intervistato nel suo ambulatorio di Pula che valuta, con accondiscendente indulgenza,  la fiducia nelle guarigioni operate da Efisio in concorrenza con la sua scienza. Importante è pure il ruolo assunto dalle televisioni regionali nel fare, ogni anno, la cronaca completa della sagra. Cabiddu osserva, con attenzione antropologica, il lavoro dell’emittente Videolina i cui giornalisti spiegano come si svolge la diretta e dichiarano che Sant’Efisio si identifica sempre  più con la televisione.

Sant'EfisioUna verità che fa riflettere sulle modalità moderne di fruizione di massa del Santo.
Se il documentario di Cabiddu è un’enciclopedia completa di tutti i luoghi e di tutti gli aspetti “ufficiali” della sagra, “Tu nos Ephise, protege” (2005) di Marina Anedda adotta un’ottica opposta che è dichiarata dalla didascalia iniziale. “Da 350 anni ogni primo maggio si aprono a Cagliari le celebrazioni in onore di S. Efisio. L’arciconfraternita prepara il Santo e la processione è trionfale. Fuori seguono in pochi a piedi per trenta chilometri sino a Nora il luogo del martirio. Le consorelle raggiungono il corteo in corriera il tempo per la tappa successiva. Poi tutti tornano e insieme sfilano per la città la sera del giorno dopo. Questo è il loro viaggio”.
Marina Anedda non filma la totalità lineare dell’evento ma compie una scelta di significazione basata sull’eliminazione del superfluo. Il superfluo della sfilata è la sfilata stessa che esibisce una supposta centralità del Santo e omette le connotazioni umane e spirituali del rito, che si sostanzia nel rapporto di speciale confidenza tra i sardi e il loro patrono. Mediatrici di questo rapporto sono, come si è detto, le consorelle adibite alla preparazione della statua del Santo con le quali la regista instaura un’intimità culturale che le consente di coglierne il vissuto profondo e la verve comunicativa in una narrazione che alterna toni intensi ad altri più leggeri.

Sant'EfisioLo stesso Ephise si fa personaggio interagendo, con una varietà di piani, con le sollecitazioni ambientali come quelle rappresentate da rumori improvvisi che lo fanno “sobbalzare” o da atti privati di devozione che le consorelle si concedono per conto anche dello spettatore del film cui è consentito, grazie a loro, l’accesso alle parti segrete del rito e all’umana spiritualità che esso contiene.
 
Togliete le traccas, i costumi, il vocio degli spettatori, il cocchio che racchiude il simulacro del santo vestito da guerriero trascinato da buoi. Sostituite tutto questo con un furgone che trasporta sul cassone una statua intabarrata con un mantello scuro e con in testa “un’aureola sulle ventitré”, che si fa strada in un  strada scavata tra le macerie. Mettete al posto del pubblico colorato delle tribune, sparuti e impauriti popolani devoti e qualche autorità che per poter seguire il santo sono costretti a inerpicarsi su cumuli di macerie recenti in cui ancora si percepisce l’odore della morte. Avrete “Il 43 con S.Efisio” di Maria Piera Mossa, un documentario di ricostruzione storica di grande pathos che utilizza le immagini girate dall’industriale cineamatore Marino Cao della processione del primo maggio del 1943 nella Cagliari bombardata. In trenta minuti di preziosi filmati in bianco e nero e di interviste allo stesso Cao e ad altri testimoni degli eventi, è mostrata  la più inconsueta e irreale delle sagre di Sant’Efisio che la storia recente ricordi.

Momenti della manifestazioneIn quel primo maggio del 1943 Efisio è chiamato, anzi “richiamato”, in servizio per compiere il suo dovere di difensore della città e della Sardegna. Non sfilano traccas o costumi, né si odono canti e applausi di ammirazione.  Il Santo è caricato, di mattina presto, quasi in segreto, sul camioncino del latte di Giannetto Gorini e incomincia il suo viaggio accompagnato da sommesse preghiere e silenziose invocazioni di pochi fedeli il cui numero cresce lungo la strada che lo porta a Pula. Quello che viene fuori è un sublime atto di fede per il santo e un’eroica dimostrazione d’amore dei suoi abitanti per Cagliari.  Mette i brividi vedere questa eccezionale processione, che appare essa stessa come un miracolo, col Santo che guida i devoti nel suo tradizionale cammino verso Nora “nella Cagliari senza vita, con le case crollate, con le strade distrutte, con le navi bruciate, con il cielo senza rondini” come la ricostruisce nel ricordo, diversi anni dopo, Antonio Ballero giornalista dell’Unione Sarda.