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Percorso

"Agorà" di Alejandro Amenabar

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''Agorà'' locandinaPuò essere consigliato un film formalmente mediocre? Ridicolo nelle scenografie, pessimo nei costumi, ricco di errori di sceneggiatura (si arriva, per spiegare gli avvenimenti e i passaggi temporali, ad usare tre lunghi “cartelli”!), persino con un uso rabbrividente di una sorta di “google earth”, che dovrebbe alludere a metafore sulla piccolezza della terra e delle sue “voci” perse tra le stelle che puntinano un cielo nero?

Sì, anche se piange il cuore osservare il risultato ottenuto da un regista di talento (“The others”, 2001; “Mare dentro”, 2004). Sì, perché un film può essere brutto, ma incuriosire, aprire la mente degli spettatori a vicende rimosse dalla Storia ufficiale, a personaggi di cui si è tentato, nei secoli, di cancellare l'esistenza distruggendone pure le opere. Non solo, ma Amenabar, con la sua produzione spagnola, affronta l'intolleranza religiosa, come al cinema si mostra poco, in modo “politicamente scorretto”, ricordando che anche i cristiani sono stati fanatici, settari, vendicativi, insopportabilmente violenti. Ma, soprattutto, il regista cileno sceglie come protagonista di “Agorà”, Ipazia, filosofa neo platonica, ancora oggi relegata a poche righe nei manuali scolastici.

''Agorà''E’ difficile ricostruirne l’esistenza, le sue opere sono state distrutte, la sua voce fu raccolta da alcuni storici, filosofi, in un’epoca in cui, come sottolinea Peter Brown in un suo saggio “furono giorni duri per molti pagani”. Sempre lo stesso storico mette in evidenza come “Ad Alessandria, la fine del ruolo pubblico del filosofo giunse in maniera violenta”, proprio con l’uccisione di Ipazia (umiliata, spogliata, lapidata, smembrata, i cui resti furono bruciati) da parte dei monaci “parabolani” guidati dal futuro “Santo” Cirillo. Ipazia era stimata, aveva insegnato, era figlia di un filosofo, si dedicò pure alla matematica e alla astronomia, ma aveva anche la fiducia del prefetto Augustale Oreste, che non mancava di consultarsi con lei.

''Agorà''L’uccisione di Ipazia fu il frutto dei torbidi politici religiosi del tempo, benchè sicuramente il suo essere donna colta e “di mente accorta nello svolgimento dei pubblici doveri che riguardavano la sua città” non l’aiutò, in un momento in cui la figura femminile cristiana veniva definita principalmente secondo i precetti di S. Paolo (“Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo, piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo..” “E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo, né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo…”). L’orribile violenza su Ipazia anticipa una lunga, drammatica era di discriminazioni violente sulle donne.
Con una vicenda così interessante, anche non seguendo le linee rosselliniane sulla pedagogia della storia sul grande schermo, si poteva realizzare un film potente. Invece, Amenabar riesce solo in qualche scena ad essere convincente.

''Agorà''Pensiamo, per esempio alla distruzione della biblioteca di Alessandria, dove l’incendio dei papiri, custodi della memoria storica, è reso con efficacia, anche perché porta la mente altri roghi di libri. Certo, non è stato aiutato dagli attori, truccati e vestiti in maniera risibile, i quali recitano enfaticamente, prima tra tutti Rachel Weisz inadatta alla parte. Nonostante questo, si esce dalla sala toccati dalla commozione. Qualcuno, poi, si sarà incuriosito, altri avranno riflettuto attraverso la semplicità, pure banalizzata, degli avvenimenti. Perciò Alejandro Amenabar e i suoi produttori, che presentarono la pellicola alla scorsa edizione del Festival di Cannes, vanno comunque ringraziati per aver squarciato il velo su una donna, la quale, come recitano i versi di Pallada nell’ “Antologia Palatina”, era “sacra, bellezza delle parole, astro incontaminato della sapiente cultura.”

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