“Burma VJ” di Anders Østergaard
“Burma VJ” è stato realizzato montando i filmati che i videoreporter professionali e improvvisati giravano clandestinamente con telecamere amatoriali e ritrasmettevano via satellite sul canale Democratic Voice of Burma. È così che tutto il mondo è venuto a conoscenza delle feroci repressioni del regime militare birmano. Basterebbe questo contenuto a far comprendere l’importanza di un film come questo. In più esso riporta alla natura vera del documentarismo messa in luce da registi-registi come come Flaherty e Ivens e da un regista-organizzatore come Grierson. Il documentario non è mai la riproduzione meccanica del mondo: in esso si impone la presenza umana, il punto di vista personale e il criterio della responsabilità morale che diventa quasi una categoria del filmare.
Uomini e donne danno vita ad una rete estesa di VJ (video giornalisti ma anche smistatori di video come i DJ lo sono di canzoni), rischiano la vita per rendere meno blindati i loro paesi e per togliere a noi la blindatura dell’alibi della disinformazione. Il film di Østergaard richiama alla mente “La ciudad de los fotografos” (2006) di Sebastian Moreno. Il documentario di Moreno è ambientato nel Cile degli anni della dittatura di Augusto Pinochet (1973-1989), quando un gruppo di fotografi professionisti e dilettanti diede origine all’Associazione dei Fotografi Indipendenti col proposito di documentare con le fotografie gli aspetti sconosciuti della repressione militare e della resistenza popolare.
Ma tra “La ciudad de los fotografos” e “Burma VJ” (realizzati a poca distanza di tempo l’uno dall’altro) c’è una differenza significativa. L’azione dei fotografi cileni serve, a posteriori, ad evitare che allo scempio delle vite scomparse si unisca quello della distruzione della memoria.
“Burma VJ” documenta le riprese effettuate e “girate” al mondo nel vivo degli eventi, il ruolo di internet e quanto si può fare con dei modesti mezzi di ripresa usati con consapevolezza e buon senso. Insieme all’impressione di aver viso un bel film, allo spettatore resta l’indicazione concreta di un nuovo modo di distribuire i prodotti cinematografici e di concatenarsi tra le persone. In questo modo da CineAgenzia il film è passato in tutta l’Italia ed è arrivato sino a Cagliari grazie all’associazione “Schermi rubati”.