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“Burma VJ” di Anders Østergaard

 
''Burma VJ'' di Anders ØstergaardGrazie all’Associazione “Schermi Rubati” gli spettatori cagliaritani hanno potuto vedere, il 19 maggio, nella sala Nazzari di CineWorld, “Burma VJ”. Cronache da un paese blindato” (2007) di Anders Østergaard. Con la proiezione di Cagliari  si è chiuso il tour italiano organizzato da CineAgenzia, che ha fatto girare in tutta Italia questo documentario che racconta la rivolta guidata dai monaci birmani nell’ agosto-settembre 2007.
“Burma VJ” è stato realizzato montando i filmati che i videoreporter professionali e improvvisati giravano clandestinamente con telecamere amatoriali e ritrasmettevano via satellite sul canale Democratic Voice of Burma. È così che tutto il mondo è venuto a conoscenza delle feroci repressioni del regime militare birmano. Basterebbe questo contenuto a far comprendere l’importanza di un film come questo. In più esso riporta alla natura vera del documentarismo messa in luce da registi-registi come come Flaherty e Ivens e da un regista-organizzatore come Grierson. Il documentario non è mai la riproduzione meccanica del mondo: in esso si impone la presenza umana, il punto di vista personale e il criterio della responsabilità morale che diventa quasi una categoria del filmare.
 
''Burma VJ''Questi elementi sono presenti in “Burma VJ”, direi personificati, nel racconto del giovane Joshua, personaggio narrante di cui non vediamo mai il volto per ovvi motivi di tutela. Al principio egli è sfiduciato ricordando l’uccisione di tremila persone nella rivolta del 1988. Ma si ribella all’oblio seguito a quella sconfitta e matura la decisione di dimostrare che la Birmania esiste. In che modo? Documentando e divulgando la feroce dittatura alla quale è sottoposto il suo Paese e i momenti di rivolta che da individuale diventano collettivi con l’intervento dei monaci e degli studenti a sostenere le ragioni degli affamati e degli oppressi. La storia di questa lotta diventa anche la storia dei dubbi e delle decisioni di Joshua e del modo in cui tiene le fila di un’organizzazione di reporter “diffusi” che pedinano le azioni della polizia e ne trasmettono le azioni repressive in tutto il mondo sino alla conclusione che, purtroppo, è una nuova sconfitta.
 
''Burma VJ''Il film tiene lo spettatore col fiato sospeso dall’inizio alla fine. Se non sapessimo come sono andate le cose nella realtà ci lasceremmo trascinare dalla speranza di un lieto fine impossibile. Ma bisogna intendersi. Un lieto fine c’è, ma va cercato nel fatto che vediamo realizzarsi finalmente un uso non alienante, voyeuristico e insensato delle tecnologie di comunicazione alla portata di ogni individuo (dai telefonini alle telecamere digitali) e dal concatenarsi di volontà disarmate ma dal futuro incommensurabile.
Uomini e donne danno vita ad una rete estesa di VJ (video giornalisti ma anche smistatori di video come i DJ lo sono di canzoni), rischiano la vita per rendere meno blindati i loro paesi e  per togliere a noi la blindatura dell’alibi della disinformazione. Il film di Østergaard richiama alla mente “La ciudad de los fotografos” (2006) di Sebastian Moreno. Il documentario di Moreno è ambientato nel Cile degli anni della dittatura di Augusto Pinochet (1973-1989), quando un gruppo di fotografi professionisti e dilettanti diede origine all’Associazione dei Fotografi Indipendenti col proposito di documentare con le fotografie gli aspetti sconosciuti della repressione militare e della resistenza popolare.
 
''Burma VJ''Anche nel Cile di Pinochet le foto riportavano immagini rubate, non divulgate dai media ufficiali e le macchine fotografiche erano usate come strumenti di lotta.
Ma tra “La ciudad de los fotografos”  e “Burma VJ” (realizzati a poca distanza di tempo l’uno dall’altro) c’è una differenza significativa. L’azione dei fotografi cileni serve, a posteriori, ad evitare che allo scempio delle vite scomparse si unisca quello della distruzione della memoria.
“Burma VJ” documenta le riprese effettuate e “girate” al mondo nel vivo degli eventi, il ruolo di internet e quanto si può fare con dei modesti mezzi di ripresa usati con consapevolezza e buon senso. Insieme all’impressione di aver viso un bel film, allo spettatore resta l’indicazione concreta di un nuovo modo di distribuire i prodotti cinematografici e di concatenarsi tra le persone. In questo modo da CineAgenzia il film è passato in tutta l’Italia ed è arrivato sino a Cagliari grazie all’associazione “Schermi rubati”.
Mai nome di associazione fu più appropriato al contenuto di un film come “Burma VJ”, fatto di riprese clandestine e pertanto rubate all’oblio.
3 giugno 2010