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Psicologia - E. Mangia

Eugenio Mangia

 Nato a Palermo si è trasferito a Cagliari nel 2004. Laureato in Psicologia a Roma ha successivamente conseguito il titolo di dottore di ricerca.
È psicologo e psicoterapeuta ed attualmente collabora con l’Università degli Studi di Cagliari e con l’Università LUMSA.
Esercita la sua attività di psicoterapeuta presso il centro Bini di Cagliari.
È autore di un volume sull’adolescenza e di numerosi articoli.
Il suo interesse per il cinema manifesta molteplici sfaccettature e da qualche anno si coniuga con la sua attività di ricerca.
Sito internet: www.eugeniomangia.it - mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

PROGETTO PER UNA RUBRICA
Scopo di questa rubrica è, da una parte, quello di offrire uno spazio di riflessione su alcune tematiche di interesse psicologico a partire dall’analisi di film i cui contenuti si prestano ad assumere la valenza di rappresentazioni paradigmatiche.

Tra le aree individuate possono essere annoverate: La psicologia della vendetta; Il cinema e la rappresentazione della follia e delle ossessioni; Il cinema omosessuale; Ritratti di madri e di padri; Immagini del desiderio; La psicologia dei gruppi; Le immagini dell’invidia e della gelosia; Il potere trasformativo dei legami e delle relazioni; La psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza; La ricerca dell’identità; La psicologia del doppio; Immagini della detenzione; La psicologia della colpa; Il ritorno del rimosso.

Ma questo spazio vuole essere anche un terreno per l’approfondimento di quegli aspetti psicologici che caratterizzano:
a) la fruizione di un film da parte dello spettatore;
b) il complesso rapporto tra attore, suo mondo interno e caratteristiche del ruolo da interpretare;

c) il punto di vista del regista che, attraverso il suo sguardo ed in conseguenza dell’assunzione di uno specifico angolo visuale, offre allo spettatore alcune rappresentazioni emblematiche della realtà sociale o di forme di comportamento ancora allo stato embrionale.

A tale proposito è prevista la realizzazione di una serie di interviste ad attori e registi, in prevalenza sardi, per meglio comprendere gli aspetti che caratterizzano, sempre dal punto di vista psicologico, l’interpretazione di un ruolo da parte dell’attore e per cogliere ed analizzare le immagini e le rappresentazioni che della Sardegna e della sua gente i registi ci hanno offerto in questi anni.

 
L'ANIMA E LA CELLULOIDE: BREVE NOTA SU CINEMA E PSICOANALISI

È innegabile che la storia dei rapporti tra cinema e psicoanalisi sia segnata da un reciproco innamoramento.
Le ragioni di questo loro perenne e antico flirtare sono molteplici e probabilmente possono essere rintracciate nel loro comune, sia pure qualitativamente diverso, rivolgersi al linguaggio dell’inconscio.
Dal punto di vista della psicoanalisi è possibile infatti trattare il materiale filmico alla stregua del materiale onirico dal momento che entrambi esprimono un alto grado di simbolizzazione.
Dal canto proprio il linguaggio filmico, che è affine a quello della metafora e del sogno, può rappresentare in forma allucinatoria aspetti del mondo interno di ciascuno e rappresentazioni dell’immaginario collettivo.

D’altra parte la semplice fruizione di una pellicola costituisce un atto che presenta rilevanti analogie con quanto accade durante il sonno. Il disporsi dello spettatore alla visione di un film ed il progressivo attenuarsi delle luci in sala fino al loro completo spegnimento, rimandano infatti metaforicamente al momento della chiusura delle palpebre che precede il sonno ed all’instaurarsi di una condizione che favorisce la comparsa del sogno. E come colui che si accinge a dormire anche lo spettatore ha bisogno che siano soddisfatte alcune pre-condizioni: una sala buia e priva di rumori, una poltrona accogliente in cui potersi accomodare e rilassare, il distacco dall’ambiente di vita abituale, la temporanea sospensione dell’azione e delle relazioni con gli altri, la scomparsa di indici temporali esterni. Tutti elementi fondamentali al dispiegarsi del dispositivo del cinema, un sistema che, in analogia con quanto accade appunto nel sonno, permette allo spettatore di sospendere l’attenzione vigile, di ritirare la libido e gli investimenti dagli oggetti esterni, di porsi cioè in quella condizione onoroide che avrà come esito una “caduta nell'inconscio”.
E quando lo schermo finalmente si illumina, il film non può che evocare il sogno, un elemento con cui condivide parecchi aspetti: il susseguirsi delle immagini, alcune incongruenze relativamente al disporsi dei diversi piani temporali, il soddisfacimento di desideri latenti.

Durante la visione di un film, analogamente a quanto accade durante il sonno, lo spettatore attua un abbassamento della propria soglia difensiva. Allo stesso modo anche il controllo della coscienza viene attenuato, con la conseguenza che, sebbene si sia del tutto svegli, quanto accade al cinema sembra attenere più alla sfera dell’immaginario che a quella della coscienza vigile.
È poi esperienza di tutti quel sentimento di leggera depersonalizzazione e di derealtà che coglie lo spettatore al momento della riaccensione delle luci in sala, così simile a quanto avviene al risveglio.
Ma come ci suggerisce Musatti il cinema può anche rivolgersi direttamente al mondo interno dello spettatore e parlare direttamente al suo inconscio, poiché quest’ultimo ha la capacità di risuonare emotivamente di fronte alle immagini filmiche.
In particolare, da un punto di vista psicodinamico, lo spettatore partecipa alla situazione cinematografica attraverso i meccanismi dell'identificazione e della proiezione. La prima permette al fruitore di un film di riconoscersi nel protagonista mentre la seconda è responsabile di quella particolare impressione che a volte lo coglie e che è relativa al fatto che gli eventi narrati possono rivestire per lui un notevole “valore personale”

Un’ulteriore riflessione merita, infine, la constatazione che, se assumiamo come vera la possibilità di guardare al film come ad una sorta di scena onirica, da un punto di vista concettuale il confine tra atto della fruizione ed atto creativo diventa piuttosto labile. L’inconscio dello spettatore può fare da cassa di risonanza ai contenuti inconsci espressi dal regista nella sua opera e di conseguenza generare rappresentazioni comuni. È per tale ragione che a volte lo spettatore ha come l’impressione di poter essere egli stesso l’autore di un dato film e di viverlo come proprio, a partire dalla similarità che egli avverte tra i contenuti espressi da esso ed alcuni aspetti del suo immaginario personale. Anche in questo caso è esperienza comune quella di aver talvolta raccontato un film che abbiamo amato con l’intento di riviverlo e al contempo di rendere partecipi gli altri di qualcosa che riguarda intimamente noi stessi. Esattamente come a volte facciamo con i sogni che ci hanno coinvolti profondamente.