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Le invasioni barbariche

Una riflessione sulla funzione elaborativa e contenitiva del gruppo. di Eugenio Mangia e Maurizio Crispi

 Ritornano a distanza di sedici anni gli stessi personaggi di un precedente lavoro di Denys Arcand, Il Declino dell’impero americano (1986), un film conversativo sul tema delle libertà sessuali ma anche di denuncia contro un "regime" che si è imposto come dominatore del mondo intero. Gli amici adesso sono riuniti attorno ad uno di loro, Remy, un professore colto e impegnato che, sulla soglia della cinquantina, scopre di avere una malattia terminale.
I protagonisti del precedente film hanno smesso di litigare e amoreggiare, scontrarsi e rincontrarsi, accusarsi e poi subito dopo raccontarsi gioie e dolori. Come si apprende all’inizio de “Le invasioni barbariche” ognuno ha finito con il prendere la propria strada: c’è chi si è sposato e ha costruito una famiglia, chi ha divorziato, chi è andato a lavorare all’estero, chi si strugge al pensiero della figlia tossicodipendente e chi si dà ancora da fare in cerca di conquiste.
Tuttavia ciò con cui lo spettatore si confronta all’inizio del film è l’esistenza di un gruppo di amici “assente”, sia pure da Remy atteso: egli infatti non vuole muoversi dall’ospedale della cittadina in cui ha vissuto perché lì attende che, da un momento all’altro, vengano in visita gli amici di prima che - apparentemente - lo hanno dimenticato.

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