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Al Lido la sfida (vinta) di attori e maestranze

Non solo registi sardi a Venezia, ma anche attori, tecnici, musicisti, studenti e operatori culturali. Dietro ai tre film andati in scena al Lido l'impegno e lo sforzo di un esercito di addetti ai lavori provenienti dalla nostra Isola. di Elisabetta Randaccio
 
Abdullah Seye (protagonista di Tajabone) con  Giancarlo Della Corte preside della scuola Alagon di Cagliari.Perché non partire, se proprio si vuol parlare di partecipazione sarda alla 67^ Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia dagli attori, invece che dai film? Infatti il Lido ha dato spazio ad attori isolani veri o finti (come i violentissimi secondini dall'accento ben evidenziato in “Vallanzasca. Gli angeli del male” di Michele Placido).
Da citare, a questo proposito, nell'unico italiano premiato -il riuscito “Venti sigarette” di Aureliano Amadei-i camei di Giovanni Carroni e Vanni Fois, in un esercito stanziato a Nassirya e punteggiato di cognomi ben etnicamente individuabili (Olla, Melis, Piras...) a sottolineare come decidere di entrare nelle forze dell'ordine sia, per i sardi, uno dei pochi sbocchi lavorativi possibili. Carroni e Fois compiono dignitosamente il loro dovere di caratteristi in un cast assai affiatato.

Presentazione del film sulla CavaniIn realtà due sono stati i film di produzione sarda alla Mostra di Venezia - e lo sanno tutti -: “Tajabone” di Salvatore Mereu e “Liliana Cavani. Una donna nel cinema" di Peter Marcias. Apparentemente le due pellicole non avrebbero niente in comune ma, andando ad esaminare meglio, c'è un elemento interessante che le lega: l'essere concepite dal basso da progetti costruiti attorno alla didattica del cinema, all'amore totale per questa arte, al rispetto per chi crede ancora a film di qualità così come per chi vi si avvicina a piccoli passi, per crescere con l'arte, in quello che dovrebbe essere il luogo deputato, ovvero la scuola. Se, infatti, "Liliana Cavani” rappresenta lo sforzo produttivo di un'associazione culturale e del pubblico come “L'Alambicco” diretto con una passione trasparente da Patrizia Masala e Alessandro Macis, “Tajabone” nasce, si forma e cresce da un corso didattico di linguaggio degli audiovisivi in due scuole difficili di Cagliari la “Don Milani” a Sant'Elia e la “Ciusa” a San Michele. Ambedue i film hanno avuto il coraggio di partire da situazioni, all'inizio, non propriamente destinate al grande schermo e sono maturati bene, dimostrando in primis l'interesse della gente per le storie destinate al grande schermo che, magari, non resettino la mente e facciano riflettere.

''Liliana Cavani. Una donna nel cinema''“Liliana Cavani, una donna nel cinema” è stata per Peter Marcias e per i collaboratori (gli sceneggiatori, i  montatori, i musicisti, i tecnici) una sfida vinta, scaturita dalla disponibilità di una delle più rilevanti e affascinanti registe italiane della contemporaneità che ha accettato di raccontare se stessa attraverso la memoria delle sue opere: quelle riuscite, quelle fallite, quelle mai realizzate, il contatto con gli attori (si vede Mickey Rourke  il quale esalta la sua amata Liliana, che scelse lui, abituato a fare il duro e il playboy sullo schermo, per interpretare splendidamente Francesco d'Assisi), i produttori, le amicizie sul set e quelle tramontate negli anni, la censura insensata (per  il  celebre e discusso “Portiere di notte il problema era la scena dove la ragazza fa l'amore stando sopra il suo partner. Replica la Cavani alle reazioni della commissione di censura: “Ma vi assicuro che si fa!”), l'approdo alla televisione intelligente. Marcias segue la sua protagonista con una finezza e un rigore ancora non visto nei precedenti suoi lavori, lasciandosi dominare dal personaggio, che valeva la pena di seguire nella sua narrazione contaminata dai frammenti dei suoi film, da belle foto e dalla voce narrante di Omero Antonutti, un altro elemento vincente, come le musiche di Roberto Palmas e di Romeo Scaccia.
 
Romeo ScacciaQuest'ultimo ha creato per i titoli di coda un lieder  finto di grande efficacia che riassume nei suoni il legame della Cavani con il mondo culturale tedesco.
Salvatore Mereu ha avuto il coraggio di dare spazio alle storie minute, a volte frustranti, a volte tragiche o ironiche, dei ragazzi di due scuole dove ha insegnato. Il regista ha affermato di voler cercare, in un primo tempo, volti per il suo progetto su “Bellas mariposas” tratto da Sergio Atzeni, mentre si è fatto catturare, come capitava ai neorealisti, dalla vita vera che diventava piano piano film. L'ambientazione centrata in una città che potrebbe essere Cagliari, ma pure qualunque centro abitativo periferico del mondo, risulta interessante. Si  mostra una città senza caratteristiche turistiche, le scuole grigie e il sole intenso disposto ad illuminare quartieri fatiscenti, dove i giovani sono protagonisti, nel bene e nel male.
 
''Tajabone''Le storie più intense sono quelle dei due fidanzatini rom e del ragazzo senegalese, l'unico motivato allo studio il quale, per studiare deve anche cercare un lavoro per mantenersi. E non si vive vendendo borse taroccate al mercatino, il giovane lo capisce bene. Tra l'altro, in questi due episodi -che facevano parte della sezione realizzata come “Via Meilogu 18” - i protagonisti resi dalla vita sono estremamente convincenti rispetto agli altri loro coetanei. Dimentichiamoci finalmente gli stereotipi sulla Sardegna e dedichiamoci a discutere i tanti problemi sfiorati da “Tajabone”, così come, forse, hanno fatto i ragazzi  costruendolo sulla carta. Ma stiamo attenti: senza la competenza visionaria di Mereu e la tecnica del montatore Andrea Lotta, la qualità sostanziale del film non avrebbe avuto forza.
15 settembre 2010