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"Venti sigarette" di Aureliano Amadei

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''20 sigarette'' locandinaLe prime scene del film illustrano il tabagismo di Aureliano. Che fuma per pigrizia, qualche volta per piacere o, semplicemente, perché non ne può fare a meno. La sigaretta si identifica con la pausa e l’uomo inizia, così, a ricordare la “grande pausa” a cui è stato costretto da eventi straordinari e terribili.

Infatti, il tempo di 20 sigarette è un ragazzo vitale, ancora legato a dinamiche di personalità  quasi adolescenziali, entusiasta e con ironica attenzione alla realtà, attraversa la linea d’ombra infernale dell’età adulta e consapevole.
Aureliano Amadei è uno dei sopravvissuti dell’attacco terroristico a Nassirya, quando la guerra in Iraq sembrava conclusa e il nostro esercito era coinvolto in una improbabile “missione di pace”. E’ un miracolato. Fisicamente - gli hanno spiegato -, è assurdo che sia rimasto in vita, forse “coperto” da un cosiddetto “cono d’ombra” dell’esplosione devastante. A Nassirya era arrivato il giorno prima, un po’ per soldi (il suo primo lavoro serio a seguito del documentarista Stefano Rolla, peraltro amico di famiglia), un po’ per curiosità. Aveva fatto in tempo a capire quanto nei suggestivi deserti iracheni, dominati, la notte, da una luna enorme, la pace non era né stabilizzata né mai avvenuta; aveva avuto modo di testare le dinamiche del campo militare italiano, le diverse personalità dei soldati (una buona parte provenienti dalla Sardegna) con cui, grazie al suo carattere disponibile, aveva già intrecciato rapporti positivi e, infine, il viaggio verso la postazione a Nassirya. Il tempo di scendere dal camion e qualcosa accade.

''20 sigarette''Un’esplosione devastante, seguita da colpi a ripetizione. Il regista, sensatamente, lascia aperte le possibilità interpretative dell’attentato, che, ancora oggi, presenta dei dubbi ancora non chiari, né risolti.  Così come, pur non possedendo un budget hollywoodiano, riesce a rendere drammaticamente efficace la scena madre del disastro e del destino di Aureliano che, alla fine, viene caricato su un camion insieme a un bambino morto (11 piccoli iracheni, di cui nessuno si ricorda, morirono quel giorno). E’ una scena impressionante quasi contrastante con il precedente tono “leggero” del film e mostra il trauma da cui Aureliano, pur conservando il suo ottimismo, non si riprenderà più. Così come, tra ironia e tragedia, si consumeranno i giorni in ospedale in Italia, tra sfilate di politici, generali, ma anche la visita dei genitori di Ficucello, il militare con cui Aureliano si era legato di una troppo breve amicizia. Le bugie di stato, ma anche quelle di una sorta di soldato-“rambo”, il quale si pose come salvatore dei sopravvissuti, che vengono in quei giorni diffuse, fa sorgere in Aureliano il desiderio di approfondire la vicenda. E, se la voglia di vivere, anche se mutilato a un piede, rimane e si conferma nel desiderio di una famiglia stabile e nella nascita di un figlio, l’uomo continuerà a percorrere con la mente quei giorni, sentendo come dovere riportare una testimonianza tesa a sottolineare l’inutilità dei conflitti, ormai, pagati soprattutto dai civili.

''20 sigarette''Amadei aveva già raccontato la sua terribile esperienza in un libro pubblicato da Einaudi, ora ci riprova adattandola per il grande schermo con l’aiuto degli sceneggiatori Gianni Romoli, Francesco Trento, Volfango Di Biase e il risultato è buono. Il film è, nello stesso tempo, piacevole e risolto tecnicamente con abilità. Puntando sul viso sconosciuto di Vinicio Machioni (che per la sua interpretazione si è conquistato un premio al festival di Venezia), “20 sigarette” riesce a rendere emozione e desiderio di riflettere sugli orrori della guerra, contaminando pensiero positivo e angoscia, le quali sembrano essere le caratteristiche dominanti della personalità del suo autore, che, quando ha vinto il riconoscimento più importante nella sezione “Controcampo” alla Mostra lagunare, ha gettato in aria il bastone di cui non può fare più a meno da quel 23 novembre 2003. Un modo metaforico per abbandonare il passato, seppure conservandone la memoria, e dedicarsi totalmente alla sua arte.

15 settembre 2010