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Ma i libri si possono inchiodare?

di Antonangelo Liori

Ha fatto molto discutere il commento di Oliviero Diliberto al film di Ermanno Olmi, I cento chiodi, definito “diseducativo” dal leader comunista. La risposta piccata del grande maestro non si è fatto attendere sulle righe del Corriere della sera. Premetto che la definizione di Diliberto (della cui amicizia mi onoro da sempre) è, a mio avviso, legata a una sua errata interpretazione del film. E l’errore è dovuto al “furore d’aver libri” del segretario dei comunisti italiani. Quando si amano i libri diventa grave qualunque macchia sulle pagine, qualunque granello di polvere, qualunque odore di muffa. È dolore immenso prestarli e sanguinoso non vederseli restituire.
Diliberto li ha visti trafitti, e ha sofferto di dolore vero.
Ma lui non è cristiano. E non essendo cristiano ignora quanto il chiodo conficcato sulla carne non sia segnale di vergogna, ma di santità. Perché per noi cristiani quei chiodi che hanno trafitto il bene sono chiodi santi: da quel dolore, da quella tragedia inizia la resurrezione e non c’è bene se non dopo il male, non c’è rinascita se non dopo la morte.
Questo capolavoro assoluto di Olmi è stato costruito, fotogramma dopo fotogramma, non pensando alle cose del mondo, ma a Dio in quanto purezza assoluta. E la purezza, così come la grazia, non è interpretabile. I filosofi interpretano i libri pur sapendo che una ed una sola è l’interpretazione autentica della parola-norma. Perché ogni parola è norma in sé. La interpretano perché non sono in grado di dare della parola la sua valenza univoca e autentica.
Ma se il libro viene interpretato, la parola diventa vento e ciò che è scritto non vale più.
Il cattolico Olmi non ignora che gli ebrei leggono la Bibbia in ebraico antico perché sono consapevoli che ogni interpretazione è vana.
Quindi i libri si salvano solo quando si crocifiggono, quando si inchiodano in attesa di qualcuno che li liberi dal vincolo dell’insussistenza riportandoli al ruolo originario di verità in sé.
Faccio un esempio. San Tommaso d’Aquino  non conoscendo il greco studiò Aristotele sulla traduzione latina che era stata fatta dalla traduzione araba di Averroe. Gli scontri ermeneutici fra Tommaso e Averroe (naturalmente a distanza e senza conoscersi) non furono quindi solo frutto di discrepanza filosofica ma soprattutto linguistica. E quindi  i libri di Aristotele furono vittime principalmente di un problema interpretativo.
Il protagonista del film inchioda i libri per salvarli. Perché sa che solo inchiodandoli sono al riparo da logiche contradditorie che vogliono far dire al libro ciò che il libro non può avere mai pensato.
La salvezza del libro è nella sua conservazione. La salvezza dell’uomo è il riconoscersi come fratello davanti a un altro uomo.
Per stare davanti allo schermo mentre passano le immagini de “I cento chiodi” occorre entrare dentro l’anima della Chiesa. E inginocchiarsi per pregare davanti a una grande quercia che non nasconde segreti, ma dispensa certezze.
Il contrario del libri.
E del nostro cuore.