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Film Consiglio

"Gorbaciof" di Stefano Incerti

Il consiglio di Elisabetta Randaccio
 
''Gorbaciof'' locandinaPresentato con successo di pubblico e di critica fuori concorso alla recente Mostra del Cinema di Venezia, “Gorbaciof” di Stefano Incerti è stato selezionato anche per il Festival di Toronto. Non a caso. Questa vicenda minima e, nello stesso tempo esemplare, mantiene uno spessore estetico e contenutistico sicuramente comprensibile immediatamente anche a livello internazionale. 
Siamo a Napoli, ma la città più stereotipata nell’immaginario collettivo, non ha elementi di effettiva riconoscibilità. Le strade convulsamente attraversate da migliaia di auto, lo squallore di appartamenti anonimi che danno su vie grigie, la contaminazione etnica nella folla e nei locali, le sudice sale per scommettitori, gli anonimi centri commerciali, unico luogo di “sogno”, insieme a un zoo altrettanto onirico, potrebbero essere quelle di Los Angeles (come l’ha definita uno scrittore “una costante periferia”) o di qualsiasi altra metropoli del mondo, dove chiunque trascina i propri drammi e le proprie ossessioni. Anche Marino Pacileo, detto “Gorbaciof” per l’evidente voglia viola sulla fronte, non è una macchietta partenopea, semmai più che a Charlot, come molti critici hanno voluto accomunarlo, ci ricorda il “topo” Dustin Hoffman di “Un uomo da marciapiede”.
 
''Gorbaciof''Di quest’uomo sappiamo l’essenziale: il lavoro (cassiere dalla “mano lunga” nel carcere di Poggioreale), l’aspetto (tra il trasandato e il cattivo gusto estremo), le preferenze (il gioco d’azzardo patologico), alcuni elementi caratteriali (la diffidenza che sfocia quasi in un mutismo, la forza fisica, evocante un trascorso dove la difesa e l’attacco sono essenziali per la sopravvivenza), ma ci soddisfa per comprendere eventualmente il suo passato, persino la sua infanzia. “Gorbaciof” nel suo piatto esistente commette il classico “errore” di infatuarsi di una ragazza giovane e fragile.
Lila lavora nel ristorante cinese del padre, anch’esso giocatore incallito disposto persino a venderla per proseguire la sua malata fissazione, e non capisce una parola di italiano. Pacileo la conquista, perché la protegge dagli insulti dei bulli e dalle attenzioni di chi la vorrebbe “puttana”.
''Gorbaciof''Il loro rapporto è fatto di gesti e di intuizioni, il sesso è, in questa fase, escluso; una sola carezza può inquietare e turbare i due. Se il regista non eccedesse in una sorta di forzata “poeticità” (la sequenza nel centro commerciale si poteva evitare), Marino e Lila dimostrerebbero l’inutilità della parola nel loro universo violento, che li sfiora con urla o, in maniera contraddittoria, aggressività verbale sussurrata. Ma l’amore non trionfa, nonostante “Gorbaciof” per salvare la ragazza, rubi dalla cassaforte del carcere, chieda denaro a un usuraio, ne diventi lo scagnozzo.
Incerti non è un moralista, si sofferma sulle sensazioni più che sui fatti, usa la macchina a mano per seguire il suo “eroe”, costringendo lo spettatore, soprattutto nella prima parte, ad identificarsi con la camera.
 
''Gorbaciof''Gioca di sottrazione, usa il non esplicitato per costruire una patina di mistero sui suoi protagonisti, mentre, pure se le parole sono poche, non ci sono tempi morti o noia.
Servillo è una “sceneggiatura” vivente: come ogni grande interprete si cuce addosso, con la collaborazione del regista, il personaggio, lo pervade di stoltezza e di intuizione, di solitudine, di melanconia e di un buon strato di ironia.
Ovviamente la sua performance da sola, come si diceva un tempo, vale il prezzo del biglietto.
20 ottobre 2010 
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