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"Una vita tranquilla" di Claudio Cupellini

Il consiglio di Elisabetta Randaccio
 
''Una vita tranquilla'' locandinaIl cinema italiano, nel suo periodo d'oro, si supportava economicamente e artisticamente con il film “di genere”, che niente aveva da invidiare a quello similare prodotto da altre nazioni. Le ricorrenti crisi della nostra industria per il grande schermo e le sue conseguenze, hanno, per anni, annullato questo tipo di pellicola, assorbito malamente dalla fiction televisiva. Nell'ultimo periodo, alcuni registi “giovani” e qualche produttore accorto sta riprendendo a puntare su storie, nello stesso tempo, di buona fattura tecnica, e contenenti elementi accattivanti e, comunque, siano legate realisticamente alla contemporaneità. Sarebbe auspicabile che, come succede per la letteratura noir, così di successo attualmente nel nostro paese, lo spettatore italiano tornasse in sala per film costruiti senza apparenti pretese autoriali, ma proponenti  inquietanti aspetti della nostra società.
Claudio Cupellini, dunque, lascia da parte la commedia con cui ha avuto un discreto successo (vedi “Lezioni di cioccolato”, 2007) e abbraccia con grinta il film d'azione/thriller. Lo fa, servendosi di una sceneggiatura vincitrice al Premio Solinas nell'edizione del 2003 da Filippo Gravino, con una sicura professionalità tecnica, memoria cinefila e scegliendo accuratamente cast e location.
 
''Una vita tranquilla''Il prodotto finale “Una vita tranquilla” - il quale ha regalato al protagonista Toni Servillo il “Marco Aurelio” per la migliore interpretazione maschile al Festival di Roma -è un film interessante, piacevole, che lascia soddisfatti, rispettando il climax tipico del thriller, iniziando in sordina e finendo con un'ansiogena mezzora efficace.
Come nel noir più tipico, l'ambientazione è fondamentale. In questo caso, una Germania di provincia “tranquilla”, spazzata da un clima melanconico, alternante un sole pallido a melanconiche giornate di pioggia; e, poi, le foreste ai margini dell'autostrada, i freddi autogrill, il grande ristorante-albergo italiano sempre incerto tra il comfort e il cattivo gusto. Tutti luoghi deputati per raccontare la storia di Antonio, ex camorrista, che ha trovato, differentemente dal Mattia Pascal pirandelliano, una nuova chanche esistenziale, si è riconciliato con se stesso, attuando una cinica rimozione del suo sanguinoso passato, diventando il “simpatico” gestore di ristorante con moglie tedesca e piccolo figlio biondo.
 
''Una vita tranquilla''Lo sgretolamento di tale mondo perfetto si incarna con l'arrivo in Germania del figlio abbandonato (Antonio ripete, senza essere convincente “l'ho fatto per voi, ci avrebbero ucciso tutti”), il quale con un amico è giunto nella Repubblica Tedesca in missione di morte per un clan camorristico, ripercorrendo fatalmente il destino del padre. Le conseguenze saranno devastanti, ma il cinismo di Antonio - la sua carta di sopravvivenza -, lo indirizzerà verso un destino cupo come il cielo tedesco all'alba. La pulsione di morte è presente sin dall'inizio del film (l'inquadratura di Antonio che uccide il cinghiale, però, ricorda “Il cacciatore” di Cimino), e continua con il sangue che cola dagli animali morti, nell'omicidio risolto a freddo, nell'incidente stradale, così come il senso di colpa, mai veramente rielaborato, invade il padre (il quale ha da farsi perdonare dalla moglie anche un triste adulterio) e il figlio, infantile quanto il fratellastro Mathias di dieci anni, che trascorre la vita “tranquilla”, mancata al giovane nella realtà violenta e anafettiva del suo ambiente d'origine.

''Una vita tranquilla''Questo intreccio accennato di psicologie complesse, di esistenze bruciate, di realtà corrotte, non sono approfondite chiaramente, ma non scalfiscono un buon film. E questa volta Toni Servillo (in questa stagione presente in varie pellicole italiane quasi fosse l'unico possibile investimento sicuro del nostro cinema) è ben accompagnato da due giovani veramente bravi. A noi ha impressionato Marco D'Amore, un viso poco stereotipato ed espressivo, una giusta recitazione, una promessa sicura per gli anni futuri. Noterei con soddisfazione anche il poster del film, veramente bello e rappresentativo, studiato con l'attenzione che si attribuiva, anni fa, a questo tipo di espressione artistica.
10 novembre 2010