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Il cinema sardo, i documentari e il gap della politica

Intervista a Salvatore Pinna, grande esperto di cinema, in libreria con un prezioso volume sulla storia dei documentari isolani. “Oggi quello che preferisco è lo stile di Pani”. Ma quanta fatica a fare cinema in Sardegna. di E.A.
 
Salvatore PinnaSalvatore Pinna, già direttore della cineteca sarda, il più grande esperto di documentari sardi, ha guardato più di 4000 documentari per un totale di 2mila ore di visione per scrivere il suo ultimo libro “Guardarsi cambiare. I sardi e la modernità in 60 anni di documentario”.
Da quando è stato pubblicato è sempre su e giù per l’isola, in un vortice di incontri che lui ama definire multimediali: si parla del libro ma si vedono anche parti delle opere.  I prossimi appuntamenti di novembre sono ad Alghero il 12 e il 15 e il 17 a Oristano.
 
Mi dica un motivo per leggerlo.
“Il libro deve servire nell’immediato. Tutti i film di cui si parla nel libro sono reperibili. La nostra forse è l’unica regione d’Italia in cui esistono davvero gli archivi audiovisivi: La Cineteca sarda, Gli archivi dell’Etnografico, la Digital Library.
Il lettore può avere subito una interfaccia visiva, come se il libro fosse un testo multimediale. Più che leggere il libro si dovrebbero vedere e discutere i film, perché questo periodo di 50 anni non sia percepito, specie dai giovani, come un vuoto, ma come un pieno, per dare un senso al passato.”

''Passaggi di tempo'' do G. CabidduAttraverso i documentari, racconta la storia della Sardegna.
“Sì, nelle pagine scorre la storia della nostra isola. Il libro è diviso in 5 capitoli: il fascismo e gli anni ‘50; i documentari della rinascita dal ‘60 in poi; il capitolo dedicato al documentario di impegno politico negli anni ‘60/’70; gli ultimi 25 anni sino ad oggi, al 2010, e infine l’ultimo capitolo dedicato al ruolo dello spettatore, con una riflessione su “Il canto scaltro” precedentemente pubblicata su Cinemecum.”
Leggendolo sembra che il piano di rinascita del 1962, esaltato da tanti documentari, così come quello successivo (‘74/’84) presentino oggi un bilancio fallimentare.
“Non ho voluto esprimere giudizi politici, ho semplicemente messo i documentari a dialogare fra loro: offrono uno spunto di riflessione, dicono che la Sardegna in 10/15 anni si è messa al passo con l’Europa per quanto riguarda la modernità. Sono state debellate la malattie, la povertà, la malaria, e l’ignoranza, ma la strada scelta per lo sviluppo non è stata coerente con le cose dette dalla classe dirigente.
 
''Cattedrali di sabbia'' di P. CarboniNel documentario di Marcellini “Sardegna industria civiltà” si vede come, dopo la civiltà dei pastori, la scelta si sia orientata verso lo sviluppo industriale, ma rispondono i documentari di G. Lisi e dello svedese Lars  Madsén: il capitale è sempre quello delle partecipazioni statali, non si è mai costituito un capitale regionale privato. I soldi arrivano dall’esterno e lì ritornano anche i profitti.”
 
La storia del piano di rinascita sembra avere un epilogo e una conclusione con “Cattedrali di sabbia” di Paolo Carboni (2010): le interviste agli operai delle grandi fabbriche,  oggi rimasti senza lavoro e con una terra devastata dall’inquinamento. 

“Sono i documentari a parlare. Nell’opera di Carboni si evince in parte il risultato di quella politica. E’ un documentario importante perché è comunque “on the road” ed è ottimistico, racconta di persone che oggi si sono messe in proprio a rischiare, abbandonando lamento, apatia e rassegnazione. La musica con una chitarra moderna fa il resto.”
 
Come ha scelto il titolo del libro?
“Il titolo è maturato alla fine dell’opera. Specie dopo aver visto sulla Digital Library le 374 interviste alla memoria in lingua sarda, ciascuna per ogni paese della Sardegna, oltre alle 100 interviste alle persone eccellenti. Emerge la tenacia della gente, il ricordo stupito di quanto è stato fatto, la gente è ancora piena di fiducia. C’è più pianto e lamentela nel racconto degli intellettuali che in quello della gente comune“.
 
''Santu Jorgi'' di S. ContuQuali  secondo lei sono i documentari  più interessanti?
“L’opera più importante è “L’ultimo pugno di terra” (1965): dagli anni ‘40 Fiorenzo Serra ha creato la professione di documentarista in Sardegna: è il primo dei registi sardi e ha fatto film di grande qualità cinematografica. Ha immesso nelle sue opere un sentimento della Sardegna, comune a tutti i sardi di allora.”
Lei  ha conosciuto Fiorenzo Serra?
“L’ho conosciuto perché ha fatto l’ultimo montaggio nella nostra moviola, si chiudeva dentro, non mangiava, e fumava il toscano. Nelle sue opere si percepisce la forte sensazione che la Sardegna stesse attraversando cambiamenti importanti. Nello stesso tempo, però, Serra aveva un profondo attaccamento etico ed estetico all’arcaicità della Sardegna: aveva il culto della inquadratura per dare senso al paesaggio e all’umanità.“
Oltre Serra, citerei le grandi inchieste di Dessì, Pinna, Giuseppe Lisi “Dentro la Sardegna”. Lavori che i sardi dovrebbero vedere, e che in passato andarono anche in onda in onda nella televisioni italiane.“
 
Nel libro ricorda una citazione di Marcello Serra autore di  “Sardegna quasi un continente” del 1961 dove dice che i paesaggi della Sardegna selvaggia “piacerebbero a Walt Disney”. Sembra un presagio: oggi la Disney nei boschi dell’ Ogliastra sta  girando una serie televisiva.
“In realtà la Disney già nel 1956 girò un documentario intitolato “Sardinia”. Dura 30 minuti, tolta la parte della tonnara, si può comparare alle opere di Serra dello stesso periodo. Riprendono quasi le stesse cose, le donne che raccolgono le castagne nei colori dei costumi di Desulo; paesaggi e modi di vivere fatti di tradizioni. Solo che quello che per Serra è sopravvivenza, per Disney è autosufficienza e i sardi vengono raccontati, quasi con interesse antropologico, come un popolo arcaico che non ha bisogno di niente.”
 
''I pittori Catalani in Sardegna''Un tuffo nei dei documentari  più recenti: cosa ne pensa?
“Il migliore di questi ultimi anni è quello di Marco Antonio Pani: “I pittori Catalani in Sardegna” contrariamente a tanti documentari banali anche nell’uso delle musiche, qui si vede Cagliari nella sua storia, nei suoi scorci migliori. Pani non pensa a riprendere Cagliari, ma alla gente e a quello che nella città accade. Abita i luoghi e li fa diventare espressivi: vi è grande espressività dei luoghi.”
 
E il cinema sardo?

"Il cinema sardo avrà sviluppi se la politica creerà un terreno favorevole."
 
In  un articolo pubblicato su “L’Unione Sarda” di ben 15 anni fa dal titolo “La  casa del cinema può nascere solo da progetti comuni”, Pinna metteva in luce la  necessità di coordinamento nella cinematografia sarda. La stessa necessità di cui si continua a parlare oggi. La storia si ripete: uguale. Noi sardi ci guardiamo cambiare ma fatichiamo ad ascoltarci e a stare al passo con i tempi. Bravi a farci del male, detto alla Moretti…
 
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10 novembre 2010