Percorso

Emanuela Cau: "I corti, la mia passione"

Si intitola "Una mela al giorno" il nuovo lavoro della regista (e attrice) cagliaritana. Che, a Quartu Sant’Elena, sta realizzando un laboratorio per i suoi giovani interpreti. di M. E. T.

 Regista e attrice cagliaritana, da dieci anni si è buttata a capofitto nel mondo del teatro e del  cinema. Giovanissima, cura laboratori (nelle scuole e nei centri sociali) e quello che le sta più a cuore è cercare di insegnare l’utilizzo del cinema come mezzo espressivo.
Il suo genere preferito sono i corti, rigorosamente fatti in Sardegna, a Cagliari preferibilmente. E' Emanuela Cau, attualmente impegnata nella regia del cortometraggio “Una mela al giorno”, prodotto dalla Abaco di Quartu Sant’Elena. L'abbiamo incontrata.

Perché preferire il genere dei cortometraggi?
Hanno la caratteristica di essere brevi, con storie spesso molto forti e concentrate in un tempo minimo. Le dimensioni del corto devono essere surreali, bisogna creare una situazione paradossale affinché il messaggio arrivi diretto come un pugno allo stomaco. Difficilmente si può immaginare quanto lavoro ci sia dietro. Produrre un corto, vuol dire spendere almeno ventimila euro. “Una mela al giorno” è la coda di un progetto precedente intitolato “Una storia X” e finanziato dall’Ordine dei Medici Generici. Un lavoro che il Comune di Quartu ha finanziato con quattro mila euro, ovviamente non sono sufficienti, per cui la produzione sta ancora cercando degli sponsor.

Perché ha scelto di lavorare con ragazzi?
A me piace lavorare con persone motivate, ogni protagonista deve avere chiara la ragione per cui è lì. L’aspetto fondamentale è che chi partecipa a questo corto, come a tutti i lavori cinematografici, è che senta vero, vicino, il ruolo assegnato. Per questo ho voluto conoscere molto bene i giovani che hanno preso parte ai provini: per individuare bene i loro caratteri e in base a questo decidere i ruoli. Tra loro c’è anche chi ha avuto delle piccole esperienze teatrali o di sceneggiatura. In altre occasioni ho lavorato anche con realtà delicate e disagiate, proprio perché il cinema serve anche a "formare" chi vive momenti poco felici.

Perché è interessata al tema dell’apparenza?
Si scambia qualcuno per quello che non è. Nel corto i ragazzi entrano in una casa, come se fossero dei ladri, ma, in realtà, non fanno del male. Entrano per fare del  bene, per coprire delle cose che non ci sono. Un esempio? Mancano le pantofole e allora piazziamo un protagonista con una valigia zeppa di pantofole. Solo alla fine si scopre che non sono dei delinquenti.

Come prosegue la preparazione dei protagonisti al corto?
Tutto il mese di maggio sarà dedicato al laboratorio dove sto formando i più giovani al linguaggio del cinema. Ritengo necessaria la formazione prima ancora della recitazione. Verrà fatto anche un lavoro sul corpo, con alcune lezioni di atletica, visto che il set prevede anche una scena di fuga, e che necessita di comparse acrobatiche. I ragazzi stanno tutti sviluppando una coscienza cinematografica, metto l’azione che desiderano, affinché non sia soltanto un "vuoto riempito". Le riprese partiranno a giugno, a metà mese spero di completare tutto il lavoro laboratoriale.

Quali locations avete scelto?
Ancora non sono state individuate. Di sicuro lavoreremo sia in esterni che in interni. Per gli interni sarà considerata di sicuro una vecchia casa abbandonata di Quartu. Serviranno anche altre comparse, le stiamo cercando.

Regia o recitazione: lei cosa preferisce?
Sono due cose molto diverse. L’attore è in balia degli eventi, la sceneggiatura viene imposta. Non amo il cinema italiano, perché c’è una cura estetica eccessiva. Ho scelto di lavorare in Sardegna, nella mia bella città Cagliari, proprio per raccontare storie che volevo io.
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