Percorso

Tutti pazzi per s'accabadora

L'avventura di “Deu ci sia” firmato da Gianluigi Tarditi dopo otto premi ricevuti in giro per il mondo potrebbe riservare altre belle sorprese. Intervista al regista, attualmente impegnato al documentario, che rivela: "Se fossi sardo sarei orgogliosissimo di una figura così misteriosa, ha in se qualcosa di universalmente umano". di A.B.
 
Gianluigi TarditiDa New York a Capalbio, dalla California al Texas, da Bergamo ad Ancona: continua a registrare successi e consensi “Deu ci sia”, il cortometraggio diretto da Gialuigi Tarditi per la Ophir Production e ispirato alla figura de sa Femina Agabbadora sullo sfondo di una Sardegna arcaica in bilico tra storia e leggenda. Girato interamente nell'Isola, tra i paesaggi rurali e rupestri della Gallura, il film svela attraverso il rito del compianto al capezzale di un morente i legami di affetto e sottomissione, amore e paura e i segreti di una famiglia patriarcale in cui le donne, madri, mogli e amanti, si fanno motore della storia. Tra tutti, interpretata da Clara Murtas, spicca la figura misteriosa di colei che in un gesto dal forte valore simbolico traccia il passaggio tra la vita e la morte, estrema liberazione dal dolore in una civiltà dove convivono fede cristiana e culti più antichi, preghiera e quotidiana fatica.
 
''Deu ci sia'', sul setRacconta il regista, Gianluigi Tarditi (formatosi alla NYFA di New York, già assistente alla regia di Luca Miniero e Paolo Genovese, Lamberto Bava e Abel Ferrara, al suo terzo corto dopo gli americani “Pisa” e “Charles Delano”): "Abbiamo cominciato la nostra avventura festivaliera sotto i migliori auspici con una première al Lincoln Center di New York, nella rassegna principale comprendente nove cortometraggi da tutto il mondo (uno dei due film italiani, insieme a “Le quattro volte” di Michelangelo Frammartino) -  di uno dei festival americani più importanti e “antichi”: il New York Film Festival, giunto alla quarantottesima edizione. Per capirci, “Social Network” di Fincher ha fatto lì la sua prima apparizione".

L'avventura continua, tra kermesse, vetrine internazionali e soprattutto premi: si aspettava questo successo?
Per ora i premi sono solo otto: il penultimo è quello della sezione Tema Lirico di Corto Dorico 2010, l'ultimo lo conosceremo solo la settimana prossima, sarà una sorpresa. Merito direi anche della storia, che affronta un tema universale e naturalmente de S'Agabbadora: io per primo sono stato sedotto da questa figura così presente eppure misteriosa, così inequivocabilmente sarda e poiché non credo di essere così “unico”, non mi meraviglio che possa incuriosire chiunque e dovunque.

''Deu ci sia'', sul setDa qui l'idea di approfondire l'argomento con un documentario?
Il documentario è sempre stato parte del progetto, che sta andando comunque avanti: i tempi sono lenti però c'è molto fermento. In particolare io sento la necessità dopo essermi confrontato con questa figura a livello di fiction drammatica di analizzarla dal punto di vista sia antropologico che storico, attraverso gli studi e la documentazione, per scoprire quali prove ne dimostrino l'esistenza. E' un fenomeno eccezionale che mi affascina moltissimo - di cui se fossi sardo sarei orgogliosissimo: l'agabbadora è una figura molto complessa e molto “compressa”, avvolta dal silenzio che molti in Sardegna ritengono che non sia mai esistita; eppure è una figura tipicamente sarda nei suoi caratteri, a metà fra realtà e leggenda, che riunisce in se qualcosa di universalmente umano.

Anche in un senso più “contemporaneo”?
La “finitrice” sovrintende a tutto ciò che riguarda la vita: la nascita e la morte, con tutto ciò che questo comporta in termini di contraddizioni e paure e anche, come definirla, l'“ipocrisia” che deriva dalla necessità di costruirsi un filtro protettivo di fronte ad un'ambivalenza. S'agabbadora, un essere a metà tra una dea e una donna, rappresenta una forma arcaica di eutanasia, quindi un bene se intesa come mezzo per alleviare le sofferenze dei moribondi, ma è anche il suo contrario in quanto sollevarsi da un peso, da una responsabilità.
La cosa che però mi interessa valorizzare è l'aspetto umano, indagando sul piano antropologico – risponde a una necessità sociale condivisa e non solo in Sardegna, mentre è sarda la capacità di istituzionalizzarla – e della verità storica.

''Deu ci sia'', sul setSenza sminuirne il fascino?
Impossibile scalfire un mito. Queste donne che in una comunità si sobbarcavano al peso, alla responsabilità di compiere l'indicibile, avevano forse anche altri ruoli, altre funzioni e saperi, dalla nascita dei bambini alla cura dei malati. Nel film ci sono tutti i simboli, il giogo e il martello: proprio per non togliere la responsabilità del gesto; una mano sulla bocca trattiene o forse spegna l'ultimo respiro, ma il gesto dell'uccidere è sempre drammatico. Ho voluto non ci fossero ambiguità e ipocrisie. Come la falsa questione della decapitazione o del veleno, della sofferenza inflitta che sposta l'oggetto allontanando l'attenzione dalla violenza della pena di morte.

L'eutanasia è tema comunque attuale
Oltre il giro dei festival, ci hanno invitato in Svizzera dove il cortometraggio è servito appunto da “pretesto” per parlare di eutanasia. Mi ha colpito che qualcuno suggerisse un eufemismo al posto di “suicidio assistito”, come a voler fare pubblicità della morte chiamandola con un altro nome.
In realtà a volte si banalizza questo tema, o lo si affronta con troppa leggerezza, o naturalezza: noi oggi siamo inseriti in questa cultura cattolica ma anche di contrasto, ma se pensiamo che una volta i suicidi non potevano essere seppelliti in camposanto, quel valore dato alla vita spiega lo sconcerto davanti ai combattenti che utilizzano il suicidio come arma, una modalità che non ci appartiene. Io credo che dietro una scelta come l'eutanasia ci siano  percorsi molto più tragici, che non si possono ridurre a un dibattito astratto.

''Deu ci sia'', sul set“Deu ci sia” racconta una storia particolare:  su cosa si baserà il documentario invece?
Sicuramente i documenti, poi le interviste e ricerche sul campo per ridisegnare i confini di un atto che appartiene alla sfera del sacro, ma sfugge alla religione: si nascondevano le immagini dei santi e togliere un crocifisso ha lo stesso valore, anzi uguale e contrario che metterlo, non è un gesto neutro. E' interessante il fatto che le agabbadoras entrassero in casa disarmate, appoggiavano il martello sul davanzale e lo recuperavano dalla stanza e viceversa, ma varcavano la soglia a mani vuote. Cercheremo di recuperare tutte le fonti, comprese quelle antiche, che si legano indirettamente o direttamente al senso della morte tra i sardi, come la pratica -  ne parlano gli autori  romani – di uccidere i vecchi. Per farsi un'idea del perché l'agabbadora come figura  reale o mitica sia nata in Sardegna e sia credibile nell'immaginario sardo, come i fantasmi per l'Inghilterra, e non altrove.

''Deu ci sia''Progetti a breve e lungo termine?
In primis il documentario, poi sempre con la Ophir Production di Simone Montaldo e Felicina Della Vecchia ci sono in cantiere idee per altri lungometraggi di fiction, di film insomma, ma è presto per parlarne. E sono comunque dichiarazioni d'intenti: bisogna vedere se ce lo faranno fare, se troveremo le risorse. Le domande sono state presentate. Staremo a vedere.

Intanto continua il giro dei festival: prossimi appuntamenti?

E' stato appena presentato a Roma (c'era anche Nichi Vendola) il Bifest – Bari International Film & Tv Festival: il presidente è Ettore Scola, direttore artistico Felice Laudadio, dove saremo a fine gennaio. E abbiamo appena saputo che ci hanno preso al Festival “Terra di Cinema” a Tremblay-en-France; le risposte dai vari festival arrivano via via. E dobbiamo scoprire qual'è l'ottavo premio (ancora top secret)!!!
 
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12 gennaio 2011
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