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"Senza identità" di Jaume Collet-Serra

Il consiglio di Elisabetta Randaccio 
 
''Senza identità''Talvolta, un film può restare, a livello estetico, sospeso in una linea che divide ben poco il divertimento dal trash, il professionismo dall'insulsaggine. Capita a quelle opere, in genere, già nate con un obiettivo prettamente commerciale, ma tese verso un risultato non mediocre. “Senza identità” firmato da Jaume Collet-Serra, il regista di un grande successo nei botteghini americani (“Orphan”, 2009) e prodotto da ben sei paesi diversi, è proprio così: siccome ci appassioniamo alla confezione, non sappiamo, alla fine, esattamente bene come valutarlo. Nonostante sia tratto da un testo dello scrittore Didier Van Cauvelart, il film, ambientato in una splendida Berlino invernale, ci ricorda scene e plot di varie altre pellicole d'azione e thriller, sedimentate nella nostra memoria di spettatori onnivori. La prima associazione è con il perfetto “Frantic” di Roman Polanski (1988), per quell'americano sperduto in una città straniera, per una misteriosa, bella aiutante, per la ricerca della moglie (per quanto in “Senza identità” il senso della indagine sia rovesciato), per la scena d'effetto ambientata sui tetti di una vecchia casa.
 
''Senza identità''A questo punto è facile citare Hitchcock (di cui “Frantic”, a sua volta, era una variazione), come la serie dell'agente Bourne, in una sequela di rimandi veloci, tanto quanto il montaggio del film (realizzato da Tim Alveron), che non lascia un attimo di respiro allo spettatore. L'intelligenza del regista e degli sceneggiatori (Oliver Butcher e Stephen Cornwell) riesce a dare credito, come succedeva ad alcuni vecchi film, a una storia sulla carta  inverosimile (l'uomo che cade in coma dopo un incidente, perde la memoria, ma è subito in forma fisica brillante tanto da subirne di tutti i colori alla pari di un eroe dei fumetti; donne disposte a dar fiducia ad uno sconosciuto senza se senza ma; poliziotti  prima stolidamente inossidabili, capaci di cambiar idea in una scena..), “usando” i trucchi ben modulati per concentrare l'attenzione solo sul presente immmediato e non sullo svolgimento complessivo.
 
''Senza identità''Gioco azzardato, ma vincente in un action-movie, dove gli incidenti sono spettacolari, l'ansia condotta sul filo della velocità e, ovviamente, la fiducia incondizionata che il pubblico deve avere sul personaggio e sull'attore, in questo caso un Liam Neeson ritornato a recitare dopo i lutti personali che gli hanno lasciato segni dolorosi evidenti nel volto, diventato adatto, così, senza eccessi, a impersonare una presunta vittima. Il Martin Harris di Neeson, in realtà, trova la sua forza proprio nel pre finale, il quale ci mostra una sua verità nascosta, che ce lo ridimensiona a livello d'eroe inconsapevole, ma non rende ridicola la conclusione ottimistica. E, dunque, aver costruito un “altra identità” a Martin è vera sorpresa e sottolinea quell'aura di angoscia paranoica del mondo contemporaneo, seminata costantemente nelle vicende del film, tutt'altro che lontana dai nostri problemi (privati e pubbilci) quotidiani.
 
Dal giocattolone affidato a Jaume Collet-Serra si esce un po' storditi, sicuramente divertiti e altrettanto certamente presi in giro. Il cinema è pure questo e i “grandi ingannatori” (di serie A, B o Z) hanno il diretto di essere rispettati.
 
9 marzo 2011