Stampa

consigli

"The fighter" di David O. Russell

Il consiglio di Elisabetta Randaccio  
 
''The fighter'' locandina“The fighter” ha avuto una genesi travagliata: doveva essere diretto da Darren Aronovsky e interpretato da Matt Damon. Quest’ultimo è uscito quasi subito dalla partita, mentre il primo è rimasto a dare il suo contributo come produttore esecutivo. A sostituirlo nella regia, David O. Russell, un autore molto originale, che almeno con “Il ladro di orchidee” (2002) e “Three kings” (1999) ha firmato due opere non organiche alla media hollywoodiana. Russell si è trovato a districarsi su una sceneggiatura alquanto contorta di  Scott Silver, Paul Tamasy e Eric Johnson tratta dalla storia vera di un pugile del Massachusetts: “Irish” Micky Ward, il quale ha subito il tipico calvario del combattente da ring: una situazione sociale degradata, una famiglia border line che si affidava al suo figlio migliore per il riscatto economico e di status, gli allenamenti in una palestra scalcinata (dal nome altisonante di “The house of the champions”), un fratello-coach che si avvelenava di crack, perché non era stato capace di affermarsi nel mondo della boxe, e via stereotipando. In verità, le storie di pugili seguono una “sceneggiatura” simile nella vita quotidiana, perché le situazioni da cui proviene la spinta a salire sul ring, attraverso allenamenti massacranti e una dose di volontà incredibile, sono uguali in tutto il mondo.
 
''The fighter''Non a caso, in Sardegna abbiamo avuto una tradizione boxistica straordinaria, proprio perché nasceva da contesti di miseria e di desiderio di riscatto. Semmai, ciò che vorremmo vedere sullo schermo è, più spesso (ci sono, però, in questo senso, film come “Fat City”, 1972, di John Huston che spietatamente seguono il pugile nel suo tramonto), ciò che accade dopo le vittorie e una carriera passata a prendere pugni, soprattutto se non ci si “ferma” in tempo. Vedere, per esempio, oggi, colui che ha rivoluzionato l’arte della boxe, un genio sportivo come Mohamed Alì, fa male al cuore: ridotto a un vecchio devastato dal morbo di Parkinson. In “The fighter”, invece a questo proposito, fa un piccolo cameo Sugar Ray Leonard, che il fratello del protagonista, DIcky, è riuscito a mandare ko in un combattimento mitico (ma sarà stato colpito o sarà scivolato?) ottenendo la fama nella sua città, Lowell.
 
''The fighter''Leonard appare bello e ricco, diventato commentatore sportivo: era un pugile straordinario, il quale sul ring “danzava”; abbandonò i guantoni nel momento giusto. Il rapporto tra il combattente “Irish” Ward e Diky, il fratello tossico, è fondamentale per lo svolgersi del film, per certi versi assolutamente differente dalle classiche pellicole del genere. Infatti, una famiglia allargata, volgaruccia, della bassa provincia americana sta addosso al protagonista impedendogli scelte autonome nello sport e nella vita sentimentale. La confusione si snoda nello schermo e nello spettatore, accentuata dalle musiche assordanti, ma incisive di Michael Brooks; sostanzialmente, però, proprio in questo sta l’originalità del film, che concede il minimo alla retorica della “preparazione”  per il “combattimento della vita”, peraltro ripreso senza le raffinatezze di altre opere sul tema (pensiamo alla meraviglia della scena degli incontri sul ring in “Toro scatenato”, 1980, di Scorsese).
 
''The fighter''Anzi, proposto con lo specifico linguaggio televisivo: primi piani frettolosi alternati ai campi lunghi n evidenzianti lo scontro fisico.
Se non ci fosse una voce off insopportabile (il telecronista del piccolo schermo, appunto), anche questa opzione stilistica sarebbe uno scarto dalle regole del genere.
Soprattutto nella seconda parte, “The fighter” appassiona e l’interpretazione “malata” di Christian Bale gli ha giustamente regalato un Oscar, ma è appena sufficiente la prova di Mark Wahlberg, privo di qualsiasi carisma e espressivo quanto una pietra levigata.
16 marzo 2011