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"Dylan Dog" di Kevin Munroe

Il consiglio di Elisabetta Randaccio  

''Dylan Dog'' locandinaFilm dalla gestazione complessa (annunciato parecchie volte e sempre rimandato), “Dylan Dog” di Kevin Munroe dà la soddisfazione agli artisti del fumetto italiano di vedere uno degli eroi più noti del nostro  comic popolare sul grande schermo marcato Hollywood.

L’investigatore dell’incubo è stato per l’immaginario dei lettori oggi quarantenni e cinquantenni (il primo numero risale al 1986, non dimentichiamocelo, per quanto nuove generazioni siano state conquistate dalle varie ristampe), un'icona fondamentale, supportata un uno straordinario successo di vendite, nonché un fenomeno di costume importante (chi si ricorda, quando sui quotidiani si dibatteva se lo splatter contenuto nelle storie di quel fumetto era educativo o meno per i lettori giovani?). Diffuso in numerosi paesi del mondo, “Dylan Dog” (Bonelli Editore) è stato creato da Tiziano Sclavi,  peraltro un raffinato scrittore (leggere per credere almeno “Il tornado di Valle Scuropasso” del 2006), autore di alcune storie memorabili dedicate al suo personaggio, anche dal punto di vista prettamente letterario.

Dylan Dog, l'attore e il fumettoL’originalità dell’ “investigatore dell’incubo” sta nell’aver contaminato un mestiere anomalo e “fantastico” (vicende dove abbondano mostri di ogni tipo, luoghi e tempi paralleli, crimini e scomparse, omicidi e leggende metropolitane) a una personalità complessa. Dylan è un ex poliziotto e un ex alcolista, è vegetariano, ha alcuni hobby facilmente analizzabili dal punto di vista psicanalitico (il modellino del veliero mai concluso, il clarinetto con il quale suona “Il trillo del diavolo” malamente), è un amante delle donne (né dongiovanni, né libertino perché si innamora sempre, ma la sua personalità rigata da regressioni adolescenziali non gli permette di risolvere positivamente le sue relazioni con l’altro sesso), ma soprattutto è il figlio del Male, il padre è una sorta di demonio e su questo elemento inquietante che Sclavi costruisce il personaggio, le sue contraddizioni, i suoi problemi.

GrouchoL’ amico Groucho (quando uscì il fumetto per la prima volta era un personaggio veramente originale rispetto ai classici “aiutanti” del comic popolare) ha sicuramente funzione di alleggerimento, ma anche partecipa spesso con rilevanza alle vicende. Altro fascino ha l’ufficio di Craven Road (le storie di Dylan sono ambientate a Londra), i suoi oggetti, i manifesti, la mitica poltrona, il diario, reso dai vari disegnatori, alternatisi alle illustrazioni, sempre con grande attenzione. Delle tante sceneggiature (ovviamente le più belle sono firmate Sclavi), impostate già cinematograficamente (gli autori del fumetto sono assai cinefili) si poteva trarre un film con ottimi spunti. Anche se, nel problema della genesi di “Dylan Dog”, deve aver contato il fallimento economico di “Dellamorte Dellamore” (1994) di Michele Soavi, tratto da un breve romanzo di Sclavi, dove c’era già in nuce l’investigatore dell’incubo e aveva come protagonista l’attore che ha fornito “la faccia” a Dylan ovvero l’inglese Rupert Everett. Per quanto, secondo noi, fosse una pellicola dignitosa e piacevole, ebbe la stroncatura critica e fu un flop al botteghino.

''Dylan Dog''Dunque, si deve arrivare al 2010 per una trascrizione cinematografica del nostro eroe. Essendo il cinema un media diverso dalla letteratura e dal fumetto (anche se le somiglianze tra i due mezzi di comunicazione sono molteplici), il tradimento è ammesso e, quindi, non cerchiamo fedeltà assoluta al prototipo. “Dylan Dog”, così, dopo un incipit bello dove, attraverso una panoramica degli oggetti topici dell’eroe (vascello, clarinetto ecc), capiamo da una voce fuori campo direttamente derivata dai classici noir americani alla Chandler, come Dylan abbia abbandonato le sue bizzarre detection sul soprannaturale e si dedichi, assai più prosaicamente (si fa per dire) a casi di ricerca di adulteri e simili, ricavandone evidentemente la pace mentale e incassi migliori. Groucho appare in una foto, chi condivide l’ “agenzia” di Dog è, invece, Marcus, un personaggio destinato a morire poche scene dopo e ricomparire come uno zombie amico! Ecco, dunque, una prima scelta del regista e degli sceneggiatori: accentuare il lato grottesco già esistente nel fumetto originale, per contaminare, come piace tanto negli USA, l’horror con il demenzial-grottesco.

Questo comporta il non cadere nel ridicolo della vicenda e utilizzare con ironia alcune citazioni cinematografiche-letterarie (per esempio, Sclavi è il nome di un vampiro “dormiente”, custode dell’oggetto feticcio per cui si snoda tutta la avventurosa vicenda!). All’ambientazione londinese si è preferita quella di una New Orleans (la città, fino al disastro dell’uragano Katrina, più misteriosa d’America) cartoonesca, irreale. In questo senso, il lavoro sul colore e sulla scenografia è ottimo, con la scelta di pastosità da fumetto classico e ambientazioni fantasiose e accurate, quanto volutamente kitsch. Da ciò detto, del fumetto rimane poco (a parte la questione solita su chi siano i veri mostri: i licantropi e i vampiri decisi ormai a non attaccare l’umanità o i “cacciatori” di questi ultimi, capaci solo con la loro “purezza” di combinare danni oppure gli stessi uomini, i quali, in quanto a efferatezze, riescono a superare qualsiasi irrealtà?), ma il film non è mediocre, se accettiamo l’ossessione americana (da analizzare psicologicamente) per i super eroi: così Dylan, quando decide di agire, si infila di nuovo la camicia rossa e la giacca nera, quasi fosse la tuta di Superman…).

Semmai il problema è nel cast, formato da interpreti-cani ululanti, questa volta salvati dal doppiaggio italiano, su cui spicca l’insopportabile Brandon Routh, un vera offesa a chi Dylan se l’è sempre immaginato con il viso, lo charme (e le capacità attoriali) di Rupert Everett.

Consiglio precedente: "The fighter" di David O. Russell

23 marzo 2011

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