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"Good bye mama" di Michelle Bonev

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''Goodbye mama'' locandinaNell’Ottocento, il romanzo d’appendice, il “feuilleton” aveva il potere di coniugare storie eccessive d’amore e morte a riflessioni sulla società del primo capitalismo: le nuove metropoli inquinate e sovraffollate, le campagne svuotate, i rapporti familiari e di classe mutati, i nuovi sogni e i nuovi incubi. Queste vicende lunghe, complesse, ricche di agnizioni e colpi di scena ebbero il merito anche di appassionare alla lettura persino gli analfabeti, i quali si facevano leggere le puntate di tali romanzi avvincenti. Da un genere che, ben presto, rivelò, la sua complessità, era facile identificare i capolavori e le stupidità più assurde. Sociologicamente ogni elemento si può analizzare e commentare, ma mai perdere il senso dell’analisi estetica.
Il cinema ha avuto, in parte, la funzione del vecchio romanzo d’appendice per tanto tempo e, quando entrare in una sala, era l’unico divertimento possibile (economicamente) pure per le persone meno abbienti, nei giorni della ricostruzione dopo il dramma del secondo conflitto mondiale, una marea di film “feulletonistici” invasero il mercato. Storie manichee e semplicistiche, qualche volta firmate da autori di ottime capacità, che riuscivano a creare una forte empatia negli spettatori.
''Goodbye mama''Un genere concluso negli anni del boom economico e affidato, in qualche caso, alla “giovane”televisione, che avrà un suo specifico (soprattutto nei paesi dell’America latina) con la tipologia delle “telenovelas”.
Nel 2011 il cinema popolare ha intrapreso vie assolutamente differenti, sarebbe un assurdo riproporre senza coscienza critica o autoriale vicende “da fotoromanzo”. Eppure “Goodbye Mama” è questo: un polveroso e insopportabile “feuilleton” di bassa lega. La regista bulgara Michelle Bonev, forse, supponendosi una novella Orson Welles in versione femminile, dirige, scrive (?!), produce questa solenne cretinata, avendo dietro le spalle una distribuzione potente come la 01. Se si volesse tentare di capire il senso di tale bidone, si potrebbe teorizzare come la Bonev abbia cercato di descrivere un fenomeno assai delicato quanto la tendenza a riprodurre, da parte della vittima, la violenza  subita negli anni della formazione, oppure la distorta dinamica della famiglia contemporanea, nucleo, in certi casi, di piccoli orrori quotidiani. 
''Goodbye mama''Ma la tesi della Bonev è un pasticcio senza capo né coda, dove vorrebbe far entrare persino l’influenza del sistema del socialismo reale sulla cattiveria assoluta delle persone, e, soprattutto, con l’uso di inquadrature “da manuale”, ritrarre una donna-mostro (scena finale: ricca e matura si paga accompagnatori emarginati nelle notti solitarie bulgare..), la quale, nella sua mente confusa, dovrebbe ricordare i personaggi della Bette Davis di un tempo.
“Goodbye mama”, non manca di scene e dialoghi “stracult”, destinati ad un’antologia filmica del trash di domani.
La rabbia sta nel pensare ai lauti finanziamenti ricevuti dalla pellicola in maniera altrettanto “avventurosa”, che ci rendono ancora più depressi, pensando a quanti bei film sono stipati in “frigorifero”, perché non ritenuti, con giudizio assai discutibile, buoni investimenti commerciali. “Goodbye mama” lo sarebbe?
Neppure un marziano potrebbe puntare qualcosa su tale boiata, la quale ha incassato, nei giorni del lancio, quelli più importanti per il ritorno economico, in tutto il territorio nazionale la misera cifra di 65.000 euro, un flop da record.
Da dimenticare.
13 aprile 2011