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Film Consiglio

"Habemus papam" di Nanni Moretti

Il consiglio di Elisabetta Randaccio
 
''Habemus Papam'' locandinaL’ ampia finestra che si apre su piazza San Pietro, a Roma, è stata per secoli un luogo di relazione tra il Papa e i suoi fedeli.  Come buona parte dell’interno della Chiesa più famosa del mondo, sintetizza la funzione barocca della comunicazione e della spettacolarità. Questo senso del palcoscenico, del “Super Teatro”, che si ritroverà più volte nel film di Moretti, ha il suo momento topico quando viene annunciata l’elezione del nuovo pontefice. E’ un rito, il quale si ripete tra la commozione dei fedeli situati in basso nella piazza e, ormai, sotto l’occhio delle telecamere, che ne accentua, inquadrandola da una distanza di rispetto, per quanto molto chiara, l’emotività e la solennità. Quella finestra, le sue tende rosse svolazzanti aprono e chiudono il film. Nelle scene iniziali, il nuovo Papa francese dovrebbe affacciarsi e condividere la felicità “di essere stato scelto da Dio” per la sua missione con i fedeli, benedicendoli, ma un urlo, proveniente dal buio interno, impedisce lo svolgersi del rito. Un attacco di panico di chi non si sente pronto per un ruolo così importante?
''Habemus Papam''Nel momento conclusivo della pellicola, dopo le vicissitudini che hanno offerto l’opportunità all’Eletto di poter trascorrere qualche giorno in incognito nella “normalità” (si fa per dire), l’uomo è pronto a rivolgersi al mondo cattolico plaudente, ai cardinali finalmente sorridenti; il suo aspetto è quello di un Papa simile fisicamente a Giovanni XXXIII°, ma le sue parole sono vicine a quelle attribuite da Ignazio Silone al suo Celestino V° nel momento del “gran rifiuto” nel dramma “L’avventura di un povero cristiano”(1968): “Io Celestino, mosso a ragioni legittime, per bisogno di umiltà, di perfezionamento morale, e per obbligo di coscienza, come pure per indebolimento fisico, per difetto di dottrina e per la cattiveria del mondo; al fine di recuperare la pace e la consolazione del mio precedente modo di vivere, con tutto l’animo e liberamente, mi dimetto dal Pontificato, espressamente fo rinunzia del seggio, della dignità, del peso e dell’onore, dando da questo istante piena e libera facoltà al Sacro Collegio dei cardinali di scegliere e provvedere, per via canonica, di nuovo Pastore la Chiesa universale”.
''Hapemus Papam''Il discorso non è, ovviamente, questo, ma ne riprende il senso, con le parole recitate con sofferenza dall’interprete straordinario Michel Piccoli. Come si arriva ad una abdicazione del genere? In realtà, “Habemus papam” va oltre. Moretti disegna, servendosi di un attore eccezionale, una psicologia in frantumi, ma apre riflessioni su varie argomentazioni. Gli attacchi di panico del Papa sono riflessi non solo di una personalità sensibile e complessa (la psicoanalista li definisce come una cantilena “deficit di attenzione”), ma pure di un’età difficile, dove gli amici migliori non ci sono più, dove la memoria svanisce, dove è difficile controllare i propri sentimenti migliori o peggiori. La metafora del teatro (insita anche nei riti cattolici, quello della Messa ne è l’empio eclatante), allude alla necessità di farsi “attore” se vuoi essere confermato dalla società oppure “spettatore”, passivo, ma sereno.
''Hapemus Papam''Il Pontefice, come Karol Woytila, voleva calcare le scene da giovane, ma la sorella  più idonea a quest’arte, è stata maggiormente fortunata e  all’uomo è rimasto conoscere Cechov a memoria. Ma il Papa non vuol entrare nella dinamica della recitazione della società dello spettacolo (il Celestino di Silone in una battuta diceva: “Anche il Papa deve fingere?”): dall’indossare gli abiti deputati, a scegliersi uno stemma adeguato, soprattutto inserirsi nella logica del potere, che, comunque, è fondamentale per un pontefice capo di uno stato ancora dominato da leggi assolutiste e parte rilevante nei giochi politici del mondo. Il protagonista di “Habemus papam” non è un “ignavo”, come lo definirebbe Dante, ma un impossibilitato a gestire il potere, non tanto come responsabilità dovuta, ma come  oppressione, abuso, narcisismo, costrizione ai compromessi.
''Hapemus Papam''“Problemi di fede?”, gli chiede l’inutile psicanalista, interpretato dallo stesso Moretti. No, quell’uomo confuso davanti a lui, a cui non è concesso parlare liberamente di se stesso, data la presenza di controllo dei cardinali, non ha incertezze di fede, ma non può ricoprire un ruolo così rigido e ambiguo. Come ne “Il caimano”(2006), la questione è il rapporto tra le istituzioni, che possono essere inficiate dalla corruzione, e  il popolo, manipolabile con le varie raffinate tecniche di consenso.
“Habemus papam” è una tragedia psicologica, ma anche civile, nel senso del mostrare con pessimismo la natura, comunque, devastante del potere. Alleggerito qui e là da battute fulminanti e da alcune situazioni grottesche (l’organizzazione del torneo di pallavolo), le quali,  però, non sono fini a se stesse, bensì sottolineano alcuni problemi teorici e pratici della Chiesa nella sua organizzazione da riformare, il film rimane un’opera di ottimo livello condotta con sicurezza tecnica e di scrittura dal regista, ma impossibile da immaginare senza il grandioso Michel Piccoli.
20 aprile 2011