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"Gangor" di Italo Spinelli

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''Gangor''Gangor è una giovane madre che vive a Purulia, West Bengala, dove lo stridore delle contraddizioni economiche e sociali dell’India contemporanea sono ben manifeste.

Da una parte, il trionfo dell’industria e lo smercio, l’uso di prodotti consumistici, dall’altro lo sfruttamento della manodopera a livelli primitivi (la sequenza nel film delle donne che trasportano i mattoni nella fabbrica è drammatica nella sua semplicità) e la continuità di alcune tradizioni tribali, che, seppure cancellate sulla carta, sono tollerate, perché evidentemente fa comodo tenere nell’ignoranza una popolazione così trattata. Le donne, come sempre, pagano il prezzo più alto: le più sfruttate, le più maltrattate, le più umiliate. La casta che vive a Purulia, inoltre, ha fama di delinquenza genetica, elemento che schiaccia la popolazione in una miseria cupa e senza futuro. In questo contesto, c’è chi tenta di sollevare le sorti dei più deboli: un associazione impegnata nella lotta contro la violenza sulle donne. Il lavoro deve essere stato faticoso, ma importante, se alcune giovani riescono a rompere la barriera del silenzio e a manifestare per i loro diritti nel traffico convulso e indifferente della città (altra scena molto efficace e ben girata).

''Gangor''A questo punto, nel film, entra un altro elemento, la forza dei media, che possono documentare, denunciare, penetrare pesantemente sulla realtà. Il fotografo Upin, borghese benestante impiegato in un giornale rilevante di Calcutta, va a Purulia e scatta immagini delle donne piegate dal lavoro e che confessano gli abusi subiti. Una foto la ottiene dando un  mazzo di rupie a Gangor: la riprende mentre allatta il suo bambino, si sofferma con una qualche morbosità (“i mie nudi sono artistici” si difende quando viene criticato per le sue scelte estetiche) sul seno della donna. L’immagine va su tutti i giornali e accompagna un articolo che vorrebbe essere di denuncia. In realtà, l’effetto di quella pubblicazione sarà devastante per la vita di Gangor.

''Gangor''Ritenuta colpevole di aver mostrato il seno ad un estraneo, sarà oggetto di molteplici violenze. Upin, così, rappresenta l’intellettuale pronto a intervenire sulle ingiustizie, ma incapace di comprendere la cultura che le produce, a lui lontana (non conosce neppure la lingua parlata a Purulia). Il suo senso di colpa lo porterà a ritornare suoi luoghi del reportage, a cercare Gangor, la quale si è decisa, senza speranza, a denunciare chi l’ha violentata. Un viaggio all’ inferno senza ritorno. Italo Spinelli, regista che aveva esordito nel 1989 con “Roma Paris Barcellona”, affronta la materia con passione sicura e con varie contraddizioni stilistiche e di sceneggiatura.

''Gangor''Traendo la storia da un racconto della famosa scrittrice indiana Mahasweta Devi (“Dietro il corsetto” pubblicato in Italia con altri due racconti della “Trilogia del seno”), Spinelli si concentra non tanto sullo svolgimento concreto della vicenda, quanto sul documentare una universo degradato, sprofondato nella miseria che, grazie alla perfetta fotografia di Marco Onorato impostata su colori caldi, mostra allo spettatore una realtà inedita e approfondita di un mondo poco percorso oppure grondante inutili stereotipi, dai media occidentali. La prima parte è debole, la partenza in flashback non aiuta, ma nella seconda il film cresce e si dimostra un’opera dignitosa e interessante, soprattutto nel panorama del cinema italiano incentrato su un’autoreferenzialità insopportabile. Gli interpreti non decollano, forse penalizzati da un doppiaggio alternante dialoghi in dialetto locale all’italiano, non rendendo, quindi, il calderone linguistico, che arricchisce la babele in cui si trova precipitato il reporter. Però, Priyanka Bose, ha un’espressività sicura e Spinelli se ne serve per un ritratto di donna capace di capovolgere l’umiliazione in coraggio.

Il consiglio precedente: "Tatanka" di Giuseppe Gagliardi

18 maggio 2011