Se nel doc canta la poesia
Buon quinto, arriva “Bella e dìnnia” un documentario realizzato da Antioco Floris – di cui si ricorda il bel “Libera me domine” realizzato nel 2006 con Ignazio Macchiarella - che occupa un posto a sé tra quelli menzionati. Floris non è un etnomusicologo e non si addentra in un campo che esula sia dalle sue competenza che dai suoi interessi immediati. E non punta la telecamera, come fa Figus, dentro il dibattito che è anche tecnico-stilistico sulla poesia sarda e sul suo rapporto generativo con la lingua. Il lavoro di Floris si colloca, piuttosto, nel filone del documentarismo sociale. Esso nasce dalla percezione di un allarme, rappresentato dal pericolo di scomparsa della lingua e della cultura sarda, sottoposte a molte minacce: quella della cultura televisiva non meno di quella degli “esperti” e dei politici che tentano di determinarne gli indirizzi senza riscontri nella realtà. È assecondato da tre protagonisti “giusti”, di cui mette in scena le ragioni e le preoccupazioni che anche il regista vive in quanto parte del loro mondo. Si tratta di tre poeti che rappresentano tre generazioni di sardi e che provengono da diversi territori praticando diversi stili di poesia: Efisio Caddeo, di Furtei, maestro di “repentina”, Giuseppe Porcu, di Irgoli, giovanissimo poeta di “otavas”, Paolo Zedda, di Sinnai, cantadori di “mutetu longu” campidanese.
Questi personaggi sono ripresi in momenti caratterizzanti della loro vita: Efiso Caddeo nella sua campagna di Furtei, Giuseppe Porcu nel suo allevamento di maiali a Irgoli, Paolo Zedda nel suo studio dentistico di Sinnai. Nel dialogo a distanza, che si instaura nel montaggio filmico, si sviluppa il racconto dei loro studi e del bisogno di conoscenza, dell’origine delle loro vocazioni poetiche, della scelta difficile di essere dei poeti che resistono all’erosione della loro cultura. Ma il crescendo con cui è organizzato il film conduce a quello che è il vero tema centrale e che riguarda la scelta, ancor più impegnativa, da parte dei poeti, di essere i soggetti di una politica culturale per la difesa e la promozione della lingua e quindi della possibilità stessa di una poesia che parli ai sardi di oggi, con un linguaggio nuovo e capace di “sorprendere”. I loro ragionamenti e le loro azioni li qualificano come persone che vivono in pieno nella contemporaneità. Il giovanissimo poeta di Irgoli studia lettere all’università per arricchire la sua conoscenza e anche il suo stile poetico; il poeta di Sinnai, nonché dentista, ha alle spalle importanti studi musicali; il poeta di Furtei, il più anziano dei tre, in una delle scene più significative del film, scambia repentine con un suo allievo, che si trova in Texas per studio, attraverso un collegamento via skype. Alla fine sembra di poter dire che questo, che è un film di volti e di parole, è un “comizio d’amore” sulla lingua.