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"La polvere del tempo" di Theo Angelopoulos

Il consiglio di Elisabetta Randaccio
 
''La polvere del tempo'' locandinaLa produzione di “La polvere del tempo” del maestro Theo Angelopoulos risale al 2008. Presentato al Festival di Berlino nel 2009, è stato sottomesso alle attuali dure leggi della distribuzione italiana (ma non solo), che ammazzano i film o rendendoli invisibili (cioè lasciandoli in “frigorifero”) o portandoli in sala con poche copie e per una manciata di giorni (e un’opera che non segue il target commerciale ha bisogno di un tempo maggiore per conquistare il pubblico). In questo senso, la “Movimento film” è encomiabile nel suo sforzo di distribuire l’ultimo lavoro di Angelopoulos, regista greco che ha affascinato le platee con il suo linguaggio avvolgente. Il titolo del film, però, sembra sintetizzare il momento creativo attraversato dal grande autore di “La recita” (1975); sembra che stanchezza e una certa dannosa autoreferenzialità percorra “La polvere del tempo”, nelle intenzioni la seconda parte di una trilogia iniziata nel 2004 con “La sorgente del fiume”. Infatti, è alquanto imbarazzante assistere allo svolgersi della vicenda che, senza la potenza espressiva delle immagini caratterizzante l’estetica di Angelopoulos, appare senza sostegno, una sorta di melodramma poco convincente, quasi ingenuo.
 
''La polvere del tempo''Si vorrebbe raccontare la Storia, attraverso una narrazione privata. Jakob, Spyros, Eleni e, poi, il loro figlio di mestiere regista, sono travolti dal terremoto di avvenimenti del Novecento: nazismo, stalinismo, diaspore, fine delle utopie. Si ritrovano il 31 dicembre del 1999 a Berlino, città simbolica per eccellenza, a tessere le fila di un passato che non passa e di un presente più metaforico che reale. Il Tempo è il grande burattinaio: le vicende trascorrono dalla contemporaneità a lontani momenti, dai ricordi all’attualità, dalla realtà all’immaginario (è il regista, con il volto adeguato di Willem Defoe, che esse la storia?). Nella carta un progetto fascinoso, nella pratica una delusione sostanziale.
 
''La polvere del tempo''Accettando pure un elemento caratterizzante di Angelopoulos, ovvero l’impostazione teatrale della composizione, il film è sicuramente più dinamico rispetto ad altre opere dell’autore greco, ma senza anima; girato evidentemente con un budget ridotto, si avvale di scene “di massa” risibili, di un uso del primo piano eccessivo nella sua melodrammaticità fino al ridicolo, di una soluzione della vicenda che lascia basiti (nonno e nipotina con alle spalle la porta di Brandeburgo, mentre cade la neve!!).
Certo, non mancano sequenze interessanti, le quali mostrano la zampata del vecchio leone. Pensiamo all’inquietudine lasciata dalla scena dello scanner per controllare i passeggeri in arrivo da un aereo: quel far vedere le persone nude, ricorda umiliazioni più gravi e mette in evidenza una mancanza di rispetto per la persona umana diffusa in una società disposta a tutto pur di “proteggersi”.
 
''La polvere del tempo''Però, nella sostanza, la delusione è cocente, per non parlare di un doppiaggio delirante, che riesce ad appiattire il sonoro di un film parlato in quattro lingue. Arriviamo ad avere una sequenza, ambientata in Unione Sovietica, in cui i protagonisti parlano in italiano, poi, di colpo in russo sottotitolati e, visto che uno dei personaggi deve fare il traduttore, in tedesco per approdare, in seguito, di nuovo all’italiano! Una follia pura che diventa un boomerang per la prestazione degli interpreti di grande levatura, ma risultanti limitati. Ci sfilano davanti Michel Piccoli, Irene Jacob, Defoe, Bruno Ganz e non riusciamo ad apprezzarli.
 
Il consiglio precedente: "The tree of life" di Terrence Malick
8 giugno 2011
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