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''I guardiani del destino'' di George Nolfi

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''I guardiani del destino'' locandinaLa prolificità letteraria di un autore straordinario come Philip K.Dick, nasceva da esigenze economiche, ma pure da una sua necessità psicologica, che lo portava ad esorcizzare i suoi fantasmi paranoici, il veleno della sua esistenza, trasformandoli in racconti originali, dove il problema dell’identità, delle scelte dell’umanità legate a un sistema di potere inconoscibile e inquietante dominano.

Soprattutto in “Valis” (1981), appare questo angosciante connubio di personalità insicura e immaginari dei o mostri, giunti direttamente dall’inconscio dello scrittore.
Il grande schermo, dal capolavoro (rivisto e riletto da Ridley Scott con una intelligenza impagabile dal racconto “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”) “Blade Runner” (1982), ha attinto dai testi di Dick a piene mani e, come si sa, l’influsso “filosofico” dell’autore di “Minority report” ha lasciato una traccia indelebile sulla cinematografia dell’ultimo ventennio del novecento. La citazione d’eccellenza è, ovviamente, il primo “Matrix”(1999) dei fratelli Wachowski, ma l’elenco sarebbe lungo, a mostrare come i nodi di riflessione dickiani si adattano perfettamente all’immaginario e al pensiero dominante della contemporaneità.

''I guardiani del destino''Non sempre, si deve sottolineare, i registi hanno reso un buon servizio allo scrittore americano; non è questione di fedeltà, dato che il cinema è una forma d’arte assai diversa dalla letteratura e deve, per dare il suo meglio, nella maggioranza dei casi, “tradire” il soggetto da cui nasce (e come si è già detto “Blade Runner” in questo senso, è esemplare), ma proprio l’aver realizzato brutti o deludenti film.
In questo gruppo, senza infamia e senza lode, si può inserire anche “I guardiani del destino” tratto da “Squadra riparazioni” . Il film attira l’attenzione perché, comunque, sviluppa i temi tipici di Philip Dick: dal “libero arbitrio” al complotto mistico, dall’angoscia di perdere la propria personalità al desiderio di spezzare la catena della dittatura temporale.

''I guardiani del destino''Il destino di un politico che tenta di affermarsi sottoponendosi alle sfibranti regole delle campagne elettorali, ricche di ipocrisia e di frustrazioni varie, sembra sviare quando David Norris (Matt Damon) incontra (per caso?) una bella danzatrice. Ma l’amore tra i due non è contemplato dal “piano” che li vorrebbe separati, ma portatori di felicità per l’umanità: lui per rendere migliore il mondo, lei per dargli la poesia dell’arte. Ecco, dunque, svilupparsi una storia d’azione e d’amore. Il problema del film sta nella sceneggiatura debole, che scivola, persino in qualche momento, nel ridicolo e influisce sulla performance degli attori, i quali sembrano non credere a una parola di quello che dicono, impegnandosi al minimo in quel manierismo fastidioso tipico degli interpreti americani sottotono. A sprazzi “I guardiani del destino”, firmato da George Nolfi, sceneggiatore di successo (suoi, per esempio, gli script di “The Bourne ultimatum “, 2007, e “Ocean’s eleven” , 2004) può intrigare.

Lo supporta la splendida fotografia del grande John Toll, che disegna una New York autunnale affascinante, ripresa in esterni palpitanti, scenario perfetto, “classico”, di “porte aperte” in ambienti sorprendenti.

Il consiglio precedente: "13 assassini" di Miike Takashi

13 luglio 2011