Stampa

"Contagion" di Steven Sodebergh

Il consiglio di Elisabetta Randaccio
 
''Contagion'' locandinaI primi quindici minuti fanno di “Contagion”, ultima fatica del prolifico ed eclettico Steven Sodebergh presentata fuori concorso alla appena trascorsa edizione del Festival di Venezia, un film più simile a un thriller angoscioso che a un “catastrophe movie” (quanti ne abbiamo visto su pandemie devastanti e irrisolvibili?). Con l'aiuto del suo montatore, premio Oscar per “Traffic” sempre di Sodebergh, e avendo presente Hitchcock come maestro della suspence psicologica, il regista ci mostra con un gioco incalzante di immagini quanto sia semplice il contagio di un morbo nel mondo moderno, troppo frenetico per ricordarsi di curare dove si mettono le mani nella metro, in aeroporto, in ascensore... L'ansia cresce perché il cittadino normale si identifica in quei gesti quotidiani, negli incontri causali “contaminanti”, un classico della sceneggiatura “cattiva”, che attanaglia lo spettatore seduto in un luogo chiuso e circondato da sconosciuti, di cui non conosce il livello di consapevolezza igienica. Principalmente per questo incipit così efficace, è consigliabile “Contagion”, che pure non è il tipico blockbuster catastrofico.
 
''Contagion''Infatti, la fine del mondo sembra vicina, perché un virus mai analizzato muta in continuazione, le risorse della Medicina sono poche e, così, dal paziente zero (una signora in viaggio d'affari, la quale si è concessa un'avventura con un antico amante) si arriva, ad una velocità incredibile, al milione di infettati e di morti, tutto descritto con un realismo notevole, ma il film non si concentra esclusivamente su questo disastro. Sodebergh è uno dei registi più di talento del cinema contemporaneo e, pure quando si dedica a progetti popolari (la sua anima, invece, è raffinata e disturbante vedi, per esempio, “Bubble”, 2005), non scivola in una banale sceneggiatura. In questo modo, gli elementi proposti per una riflessione sono tanti, compresa quella sulla differenza di impatto di una tragica pandemia tra le classi sociali.
 
''Contagion''I potenti, infatti, riescono ad avere le notizie prima, ad avvisare i propri cari di evacuare zone presto bloccate; inoltre, hanno la possibilità di inserirsi nel circuito della distribuzione delle cure e dei vaccini. In questo senso, il personaggio del responsabile del settore farmacologico degli Stati Uniti, interpretato da Lawrence Fishburne, è esemplare e, solo a conclusione del film, accetta di rischiare per la sopravvivenza di un bambino. Non parliamo, poi, dei militari decisi, sino all'ultimo, a evitare il panico, ma non il contagio. E l'informazione? Apparentemente c'è chi vorrebbe, con un altro tipo di epidemia, quella della parola su Internet, denunciare lo stato di cose confusionario, errato, colluso del potere. E' un blogger d'assalto (Jude Law), che, in tempo reale, avverte i suoi lettori degli errori e delle malefatte del governo.
 
''Contagion''Ma, se anche lui fosse conquistato dai dollari e iniziasse a “contagiare” criminosamente la rete, diffondendo l'idea di un rimedio farmacologico con effetto placebo? E l'Europa pronta a difendere le scorte del suo vaccino offrendo delle patacche ai cinesi, che pure hanno persino rapito un medico dell'OMS, per poter salvare le vite di milioni di persone con il ricatto? Niente eroi in “Contagion”; il mondo, nelle disgrazie più devastanti, rimane diviso in due: chi ha il capitale e chi no, chi ha il potere e chi ne deve subire le conseguenze. Il film regge bene senza pause, infliggendo angoscia al pubblico, gli attori sono raggelati, per quanto efficaci, ma, a distanza, mentre controlliamo di non aver troppo strusciato nella poltroncina in cui eravamo seduti, ci rendiamo conto che gli attuali sistemi economici sono maggiormente dannosi di qualsiasi epidemia.
 
14 settembre 2011